Edel e Wais e il fantasma dell’anima del bosco

Ecco il racconto di zia Mariù (20 ottobre 2006).

C’era tanto tempo fa una piccola ghianda che era caduta da una grande quercia.
Una notte d’autunno si alzarono delle forti raffiche di vento, soffiavano così forte che la piccola ghianda cominciò a volare.
Batti di qua batti di là, alla ghiandina si era spaccato il suo delicato e tenero guscio.
Cadde inesorabilmente in un grande prato alle pendici di una montagna, proprio accanto a lei c’era una famigliola di oramai sbiadite campanelle barbute e vedendola tutta triste cominciarono a tranquillizzarla dicendole che era caduta nel posto più bello del mondo.
Intanto su nel cielo cominciarono ad adunarsi dubbiosi e scuri nuvoloni.
Dopo un pò, questi, cominciarono a scaricare grossi e violenti chicchi di ghiaccio sul prato, sulla montagna, nel fiume lì vicino che impetuoso e carico correva verso valle.
Le delicate campanelle barbute affievolirono la loro vocina già esile quando per la povera ghianda giunse il silenzio.
La terra era tutta scalzata, tutto aveva cambiato aspetto; pareva fosse passato un branco di cinghiali in corsa.
Della povera ghianda non vi era più traccia.
Chissà dove era finita?
Passarono mesi molto freddi quando con i primi tiepidi raggi di sole qualcosa di timido sembrò uscire dalla terra.
Delle piccole foglioline cominciarono a stiracchiarsi e a prendere energia sotto la sempre più calda forza del sole.
Chiunque passava di lì notava la bellezza dei colori e la robustezza dei rami e delle piccole foglie che crescevano e si moltiplicavano.
Passarono gli anni e la piccola ghianda si era trasformata in una bella e florida quercia che con i suoi folti rami solleticava il cielo.
Intanto intorno a lei, altri alberi erano nati e cresciuti, tanti gelsi, salici, castagni, pioppi e roverelle, alberi smisurati e fronzuti, e a terra tanti fiorellini e funghi e variopinte farfalline svolazzavano indisturbate.
Una notte un forte vento si alzò, un turbinio di forti raffiche.
Tutti gli animali del bosco erano nascosti e acchiocciolati nelle proprie tane.
Un vento sempre più forte, tanto forte ma così tanto forte che dal cielo caddero due inaspettate stelline: Edel e Wais.
E dove caddero vi domanderete?
Rimasero impigliate sui rami alti della grande quercia.
Erano così in alto che nemmeno la padrona dei rami se ne era accorta.
Ad essere sinceri se ne accorse però la famiglia dei picchi che aveva il nido nella fessura del ramo più alto della quercia.
Le due stelline si erano talmente abbracciate che agli occhi dei picchi sembravano una sola.
E solo con la forza del becco di mamma picchio riuscirono a staccarsi.
Facevano altro che frignare le povere stelline, sapevano che il tempo con loro sarebbe stato inesorabile, le avrebbe preso tutta la forza e la lucentezza.
Si dovevano sbrigare a ritornare a casa.
Ma non sapevano come fare.
Dall’alto dei suoi rami la quercia vide la strada da percorrere per salire sulla montagna che le avrebbe ricondotte verso il cielo.
Vennero accompagnate da una vecchia guida del bosco, dal merlo che conosceva assai bene la strada.
Era giunta la sera e i tre amici, tutti stanchi, si fermarono sotto le fronde di un vecchio salice.
All’improvviso: uuuuhhh… Uuuhhhh … strasc … strasc… vunnnnn … vunnnn… strasc strasc…!?
Uno strano rumore giungeva dal prato del mulinello, un prato oramai ingiallito, lì vicino.
Veniva chiamato così dagli animali del bosco perché bastava si levasse qualche alito di vento che questo faceva sentire tra i rami il suo lamento.
Una eco, forti sibili si diffondevano nel bosco e nella valle ma uuuhhhh … uhhhuuuhh … strasc … strasc …!
Era un rumore inconsueto.
Gli amici uscirono chiotti chiotti dal nascondiglio per vedere cosa stava succedendo quando: cominciarono a tremare come foglie.
Nessuno mai aveva visto una cosa simile nel bosco: un fantasma!
Un fantasma tutto bianco che si dimenava prepotentemente tra i rami degli alberi.
Passò di lì una volpe tutta impaurita con il suo cucciolo in bocca.
Era stata colta dalla bufera prima che potesse tornare alla tana.
Passò, con gli occhi sgranati, accanto ai tre esserini spauriti, scosse la testa e fuggì via dileguandosi tra i rovi di biancospino.
“Paurrrra eh? Paurrrra eh?” Una voce si fece sentire.
I tre alzarono la testolina e videro un grosso gufo.
“Quello è il fantasma dell’anima del bosco!” bofonchiò il gufo.
“E a parere mio è rimasto impigliato nei rami del vecchio salice e questo non lo può lasciare libero. Sta impaurendo tutti gli animali del bosco con i suoi sonori grugniti, tutti sono fuggiti e noi non sappiamo come mandarlo via di qua”.
Ai tre amici venne un’idea.
Il merlo tornò dalla vecchia quercia, discussero un pò e poi tornò al prato del mulinello, questa volta non solo però.
Lo avevano seguito la famiglia dei picchi.
Arrivati al prato cominciarono, pur tremando dalla paura, a picchiettare i rami del salice facendo modo che il vento liberasse il fantasma.
Ma invano picchiettarono i rami.
Il fantasma aveva preso più forza e svolazzava indisturbato tra quei fitti rami terrorizzando gli uccellini.
All’improvviso però un colpo di becco più deciso di mamma picchio lo fece cadere al suolo.
Cominciò a piovere e la pioggia lo fermò a terra rendendolo inoffensivo.
Pensando che fosse morto, i picchi, il merlo, il gufo, le due stelline, un folto pubblico di animaletti, tutti titubanti, si avvicinarono e, sorpresa delle sorprese il fantasma non era che un … si fa per dire, innocuo sacchetto bianco di plastica per la spazzatura.
Fecero una grande buca e con immane fatica ve lo misero dentro pur sapendo che non si sarebbe mai distrutto.
Tutti felici però tornarono ai loro nidi e le due stelline con il merlo ripresero il sentiero per la montagna.
Le due stelline avevano affievolito la loro forza e la loro lucentezza ma non si diedero per vinte.
Imperterrite cominciarono a salire la montagna sopra il bosco con il loro amico merlo; quando dall’alto sentirono dei richiami: era l’amica aquila che era venuta a sostituire il merlo per accompagnare le stelline sulla cima della montagna.
Le stelline erano però esauste.
Salirono ancora, incitate dai gridi delle altre aquile e si fermarono a riposare sopra un costone.
Erano sfinite.
Si abbracciarono e intanto era giunta la notte.
Il mattino seguente, in quel mattino d’inverno, l’aquila tornò a prenderle ma al loro posto trovò un fiore che sembravano due, tutto bianco e vellutato.

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