Dicembre

Diego Valeri (Pubblicata da Mondadori nel 1962)

Se vi piace questa poesia, dovete ringraziare Valerio che ce l'ha inviata per la pubblicazione (1 Dicembre 2025).

Dicembre di Diego Valeri

Leggiamo insieme: Dicembre di Diego Valeri

Tristi venti scacciati dal mare
agitavano la città notturna.
Da nere gole aperte tra le case
rompevano, invisibili
ombre, con schianti ed urla;
si gettavano per le vie deserte
ferme nel bianco gelo dei fanali,
urtavano alle porte
sbarrate, s’abbrancavano alle morte
rame d’alberi dolenti,
scivolavano lungo muri lisci,
dileguavano via, serpenti,
con fischi lunghi e lenti strisci…

Ora mi sporgo all’attonita pace
della grigia mattina: tutto tace.
Teso il cielo di pallide bende.
Il gran cipresso, assorto, col suo verde
strano, nell’alta luce. Un coccio lustra
tra la terra bruna dell’orto.
Finestre senza tende, cupe,
guardano intorno. Non c’è voce umana,
grido d’uccello, rumore di vita,
nell’aria vasta e vana.

C’è solo una colomba,
tutta nitida e bionda,
che sale a passi piccoli la china
d’un tetto, su tappeti
fulvi di lana vellutata, e pare
una dolce regina
di Saba
che rimonti le silenziose scale
della sua fiaba.

 

Note su: Dicembre di Diego Valeri

In Dicembre Diego Valeri mette in scena un passaggio emotivo: dalla violenza della notte colpita dal vento alla quiete sospesa del mattino. La natura diventa così specchio dello stato d’animo umano e metafora del modo in cui si attraversano le difficoltà.
Ogni tempesta, per quanto dura, è destinata a placarsi.

La prima parte della poesia è dominata dall’inquietudine: il vento, descritto come una presenza ostile e quasi viva, assedia la città. Le parole scelte – ricche di suoni duri e sibilanti – restituiscono rumore, urto, disordine. Le raffiche diventano ombre urlanti, serpenti che strisciano tra le case: un mondo notturno agitato e privo di riparo.

Con l’alba tutto cambia. Il mattino introduce un silenzio improvviso, quasi irreale. Il paesaggio appare immobile, spoglio, segnato da un vuoto che è sia esteriore sia interiore. Le “pallide bende” del cielo e l’assenza di voci danno l’idea di una natura che sta ancora recuperando dalle ferite della notte.

Eppure proprio in questo scenario dimesso affiora un segno di grazia: la colomba che sale lentamente sul tetto. Il poeta la trasfigura in una figura regale, capace di trasformare un luogo grigio in un’immagine fiabesca. In lei si concentra il vero messaggio della poesia: la bellezza non scompare mai davvero, basta saperla riconoscere quando si manifesta, anche nelle forme più minute.

Valeri suggerisce così che la differenza tra buio e luce dipende dallo sguardo con cui si affrontano le esperienze. La tempesta è inevitabile, ma non definitiva. Il silenzio che la segue non è un vuoto sterile, bensì lo spazio in cui la vita ricomincia a farsi sentire.

La poesia diventa quindi un invito alla fiducia: a credere che, dopo ogni notte, esista sempre un mattino capace di riportare pace e stupore.

 

Immagine creata con AI di Bing.

 

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