Il pellicano

Raffaella ci manda una sua filastrocca (2 ottobre 2000).

C’era una volta un pellicano che mangiava come un caimano. 
Aveva ingoiato una balena, due piovre, 
tre granchi con le chele e una murena. 
Non riusciva più a spostarsi e faceva tanti versi. 
Eppur non si pentiva di non poter volar fino alla riva. 
Se ne stava così, contento, 
su una tavola in mezzo al mare azzurro, 
tutto intento. 
Passava in quel momento un pescecane abruzzese 
che stava tornando dall’oceano thailandese. 
“Sì grasse e belle, te ‘ngoie senza cultelle!”
Ma, quando tentò di addentare l’uccello, non si spostò nemmeno quello,
lo guardò fisso negli occhi:” Va a mangiarti i finocchi!” 
Restò stupito il pesce violento di veder l’atteggiamento. 
“Cumpare me, te vulisse bacia’, ti nu curagge da lione, nen è robe da pazzià”.
Rispose il pellicano, fermo poco lontano: 
“Se tu mordi la mia carne, non saprai proprio che farne. 
A digiuno anche son sazio, sai, non è question di spazio.
Io mi nutro di sostanze che non stanno nelle panze. 
Sono obeso dell’amore che riempie tutto il mio cuore. 
Ora va, non tardare, cerca un modo per amare,
non ti sentirai più vuoto e farai anche del moto”.
Rise allegro il pescecane: “Stu cellette è proprie strane!” 

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