Balle Grosse S.p.A.

Balle Grosse S.p.A.
di Domenica Luciani
Giunti
2003
Bugie storiche
Se devo dire la verità (cosa che in questa storia capiterà di rado) all’inizio ci sono cascato come un fesso. E questo prova che le bugie non hanno affatto né le gambe corte, né il naso lungo!
Anzi, il ragazzino con la scimmietta sulla spalla aveva gambe lunghe e sottili come fuscelli e un nasino così microscopico che avrebbe potuto al massimo contenere mezza caccola di dimensioni normali. Ci ho fatto caso, mentre si avvicinava al campetto giochi dei giardinetti, dove come al solito anche quella domenica pomeriggio avevo portato a pascolare Nick. Per prudenza l’avevo lasciato legato al guinzaglio, che avevo assicurato a una stanga della panchina. Diciamo che se Nick avesse avuto una museruola non sarebbe successo nulla di quel che è successo mezzo minuto dopo e io sarei rimasto il bravo ragazzo onesto e sincero di sempre. E’ proprio vero che un filo d’erba calpestato può cambiare il corso della storia!
Fatto sta che il ragazzino, ormai a un palmo da me, si è chinato ad allacciarsi una scarpa, la scimmietta è balzata d’un tratto sullo schienale della panchina e Nick ha fatto in tempo ad addentarle la punta della lunga coda con un morso terrificante. La scimmietta ha mandato un ululato a ultrasuoni, rifugiandosi d’un balzo sulla spalla del suo padrone.
– Cavolo, le sanguina la coda! -, ha urlato il ragazzino inferocito. – Ma che razza di bestia è questo… questo…
– E’ vero, è più bestiale che umano: rifattela coi miei genitori! -, ho risposto io mantenendo una calma olimpica.
– E’ il tuo… fratellino? -, ha chiesto il ragazzino incuriosito.
– Sì, ha tre anni, si chiama Nick e per evitare che combini guai siamo costretti a portarlo in giro sempre al guinzaglio!
Mi vergogno sempre da far schifo a dare spiegazioni su mio fratello. Anche perché il fatto che si comporti come un cane non è facilmente spiegabile. La mamma dice che nei giorni in cui è stato concepito, papà era stato morso da uno spinone randagio, ragion per cui Nick avrebbe nel DNA qualche gene canino. Sulla razza però siamo incerti, perché Nick non ha nulla della mansuetudine dello spinone. Semmai è aggressivo come un pit-bull e ama sguazzare in acqua come un terranova. Probabilmente è un incrocio.
Il ragazzino ha abbozzato un sorriso, poi si è avviato alla fontanella vicino alla vasca della sabbia e ha messo la coda della sua scimmietta sotto il getto dell’acqua fredda. Io mi sono srotolato la bandana che avevo al polso e ho improvvisato una fasciatura d’emergenza. Nick ha ringhiato minaccioso e io gli ho allungato una pedata nel sedere.
– Come si chiama? -, ho chiesto al ragazzino grattando la testa della scimmietta. Aveva una testolina lanuginosa, non più grande di una noce di cocco.
– Scirina, come una delle principesse delle Mille e una Notte.
– Cos’è, sei un appassionato di principesse? -, ho sparato io ridacchiando.
Alla parola ‘appassionato’, lui mi ha guardato un po’ stupito e io mi sono affrettato ad aggiungere:
– Mi sembra robetta da pischelle. Io se avessi una scimmietta la chiamerei magari Lisa Simpson o Lara Croft.
Il ragazzino ha avuto un guizzo repentino negli occhi verdi. Poi si è spianato la maglietta sul petto, si è incurvato un po’ e ha affondato le mani nelle tasche.
– Sai, suonava un po’ banale chiamarla Lisa – ha detto. – Difatti io mi chiamo Bartolomeo, che poi abbreviato sarebbe Bart.
– Forte! -, ho esclamato io. Poi ho steso la mano di slancio: – Be’, piacere: Ernie.
Bart mi ha lanciato un’occhiata diffidente e se n’è rimasto con le mani in tasca.
– Nick… Ernie… Non sei un bravo ballista. – ha soggiunto con aria di sfida. – Potevi trovare dei nomi più credibili.
Come sarebbe a dire dei nomi più credibili? Sono rimasto talmente spiazzato che non mi sono neppure accorto che Nick stava alzando pericolosamente la gamba sulla mia Nike Air. Menomale che aveva un pannolone a tenuta stagna. Bart intanto mi aveva voltato la schiena e si stava allontanando con la scimmietta in spalla senza neppure salutarmi.
Io gli sono corso dietro e l’ho agguantato per un gomito.
– Non ti ho detto delle balle! -, ho gridato. – Ernie e Nick sono davvero i nostri nomi, anche se abbreviati.
E siccome Bart continuava a guardarmi con aria da-sai-chi-ci-crede, io mi sono affrettato a raccontargli di papà e mamma, che sono due londinesi purosangue trapiantati in Italia e che hanno voluto appioppare ai figli nati a Firenze i due inglesissimi nomi di Ernest e Nicholas.
– Se non ci credi, sta’ un po’ a vedere! -, ho aggiunto.
Detto questo mi sono rivolto al mio fratellino, che era indaffarato a sotterrare alacremente un Chupa-Chups mezzo succhiato nella vasca della sabbia.
– Nick, a cuccia! -, ho gridato alzando il dito indice.
Nick ha piantato il lecca-lecca seduta stante ed è corso a sdraiarsi ai piedi della panchina. Io l’ho premiato subito lanciandogli un biscotto Pan di Stelle che ovviamente ha acchiappato al volo.
Bart ha seguito tutta la scena senza commenti, mentre Scirina ha applaudito. Io ho aggiunto:
– Obbedisce solo al suo nome. Prova pure a chiamarlo in altro modo, ma non caverai un ragno dal buco.
Qui è arrivato a bomba il mio amico Jacopini che, sfrecciandomi sotto il naso sulla sua mountain-bike, ha gridato:
– Ciao Ernie, come butta? -, dopodiché è schizzato via senza aspettare risposta.
Bart ha stretto le labbra annuendo lentamente.
– Okay, non sei un ballista -, ha detto.
– No di certo. -, ho replicato io. – Non per nulla mi chiamo Ernest, che in inglese vuol dire appunto ‘sincero’.
Non credo di aver detto nulla di buffo, eppure Bart è scoppiato in una risata sgangherata. Scirina l’ha imitato subito mostrando certi dentini aguzzi e giallastri come pinoli. Naturalmente Nick, che non sopporta gli schiamazzi, si è messo ad abbaiare. Io gli ho mollato un’altra pedata.
– Scusa, sai -, ha detto Bart, – ma non credo a questa storia che il carattere della gente rispecchi il nome che porta. Pensa che mia zia si chiama Modestina ed è una che si dà un casino d’arie.
Senza contare suo zio Severo, che sghignazzava come un demente dalla mattina alla sera; o sua cugina Costanza, che cambiava idea a ogni soffio di vento; o sua nonna Letizia, che ci aveva sempre un muso ingrugnato lungo fino ai piedi.
– Hai una famiglia ben strana! -, ho osservato io candidamente. Ci tengo a ribadire che fino a quel giorno, da bravo ragazzo sincero, non avevo la più pallida idea delle balle pazzesche che possono intasare il cervello di certa gente.
Bart ha assentito soddisfatto e si è messo a sedere sulla panchina accavallando le gambe. Scirina gli si è rintanata fra le braccia scrutando un po’ preoccupata Nick di sottecchi. Ma lui era tornato a seppellire il suo lecca-lecca nella sabbia.
– Vero: siamo una famiglia unica, d’importanza storica -, ha attaccato a dire con un sospiro.
– Che cavolo vuol dire? -, ho chiesto io.
– Abbiamo sulle spalle il destino dell’intera umanità.
Qui Bart ha abbassato gli occhi pensieroso, mentre Scirina inghiottiva una pulce che si era appena pescata da dietro un orecchio. Io dovevo avere la faccia di un povero sordo schiantato davanti alla tivù e che sta spippolando disperatamente alla pagina 777 del Televideo. Insomma, non ci capivo un’acca e mezzo!
Perciò Bart ha ripreso a dire:
– Ti spiego: hai presente la guerra in Afghanistan?
– Mmm.
– Be’, prima di dichiararla Bush ha chiesto un sacco di dritte a mio padre…
– Sul serio?
Bart ha sbattuto gli occhi gravemente.
– Una responsabilità che non ti dico: dalla preoccupazione papà ha avuto la diarrea per tre mesi filati.
Qui Bart si è schiarito la voce, dopodiché ha riattaccato a dire:
– E la seconda guerra mondiale? Se non ci fosse stato il mio bisnonno a quest’ora saremmo tutti sotto la dittatura nazista!
– Tuo nonno era un generale alleato? -, ho chiesto io.
-No, era un appassionato del ballo del boogie-woogie e siccome voleva impararlo a tutti i costi, ha costretto gli Americani a venire in Europa a insegnarglielo.
Io ho inghiottito allibito, ringraziando mentalmente il bisnonno ballerino di Bart. Poi, siccome volevo far vedere di masticare anch’io un po’ di storia, ho detto:
– Noi a scuola stiamo studiando la guerra del Vietnam…
– Ah quella! -, mi ha interrotto Bart. – La storia dello stento: se è andata avanti così tanto è stato solo perché gli Americani seguivano i consigli del mio nonno paterno, mentre i loro nemici quelli del mio nonno materno…
Pare che i due nonni si odiassero a morte, perché uno accusava l’altro di fregargli nottetempo il vaso da notte, costringendolo a farla in un vaso da fiori. Quante vittime per uno stupido litigio fra vecchi piscioni!
Bart è andato avanti a parlare della sua famiglia a ruota libera. Mentre Scirina continuava a spulciarsi allegramente e Nick ronfava schiantato per terra, io ascoltavo a bocca aperta le gesta di tutti i suoi eccelsi antenati: dal prozio ubriacone che aveva suggerito a Garibaldi la camicia rossa perché mascherava meglio le macchie di vino, alla furbissima trisnonna che aveva convinto Napoleone a fuggire dall’isola d’Elba per cuccarsi la sua villa con solario e spiaggetta privata.
Non so quanto ancora sarei rimasto lì a sentirlo imbambolato se all’improvviso Bart, gettando uno sguardo all’orologio, non fosse balzato in piedi gridando:
– Cavolo devo andare!
Erano appena le sei e mezza e ho fatto in tempo a gridargli:
– Aspetta, non è così tardi…
Bart però ha spiccato la corsa, trascinando con sé la scimmietta delle Mille e una Notte. Poi, sollevando la polvere del vialetto e scomparendo dietro lo scivolo, ha esclamato:
– Mi spiace, stasera abbiamo il papa a cena!
Nei giorni seguenti ho ripensato spesso a Bart e sono arrivato almeno a dubitare che tutto quello che mi aveva raccontato sulla sua storica famiglia fosse inventato di sana pianta. Tanto più che sfogliando il mio libro di storia, non avevo trovato traccia di nessuno dei suoi strampalati parenti. Ma la prova definitiva era che al TG non avevano fatto parola di una visita del papa a Firenze, mentre si sa che quel poveruomo non può sgranchirsi le gambe nel cortiletto del Vaticano senza che non lo sappia il mondo intero.
Insomma, dieci contro uno che mi aveva preso elegantemente per i fondelli. Eppure, se da una parte ce l’avevo a morte con lui, dall’altra provavo una specie di assurda ammirazione per quello strano ragazzino. Io non sarei mai stato capace di sparare delle frottole così grosse senza battere ciglio, o senza scoppiare a ridere sul più bello. Almeno così pensavo allora.
La domenica successiva Nick aveva una bizzarra tosse e la mamma mi aveva proibito di portarlo ai giardini. Il dottore aveva accertato con stupore che mio fratello aveva tutti i sintomi del cimurro e così, dopo aver consultato un veterinario, Nick era stato siringato a palla di antibiotici per cani. Successo pieno: sette giorni dopo, mio fratello non tossiva più e aveva ripreso a giocare col suo osso di gomma. Dopopranzo poi mi era saltato al collo per farmi le feste, reggendo il guinzaglio fra i denti.
Mentre mi avviavo ai giardini con Nick che mi trotterellava accanto giulivo, ho pensato che sarebbe stata una bella combinazione incappare di nuovo in Bart e in Scirina. Ad eccezione di quella domenica fatale, infatti, non li avevo mai visti prima. E poi, se davvero mi aveva raccontato un sacco di balle, aveva certo tutto l’interesse di non farsi mai più vedere da me.
Mi sbagliavo! L’ho avvistato già di lontano, che si lisciava il ciuffo punkeggiante seduto sulla solita panchina. C’era qualcosa di strano in quel gesto di passarsi le dita fra i capelli, come pure nel suo stare seduto a schiena dritta. Ma non ho avuto il tempo di rifletterci sopra perché, non appena mi ha adocchiato, ha incrociato subito le braccia sul petto, incurvandosi in avanti.
– Dov’è Scirina? -, gli ho chiesto subito a mo’ di saluto.
– E’ in missione con mio padre -, ha risposto.
– In missione? -, ho ripetuto meccanicamente legando il guinzaglio alla panchina. Nick si è accucciato per terra a fiutare una cartina di caramella.
Bart mi ha tirato un’occhiata annoiata. Poi ha fatto uno dei suoi sospiri.
– Papà è stato convocato urgentemente dal presidente del Burundi. Affari interni. Così ha pensato di portare con sé Scirina per farle respirare un po’ d’aria nativa.
Giusto, il Burundi doveva essere in Africa. Una balla anche questa? La ragione mi diceva di sì, però… Però mentre parlava, con quell’aria così seccata e imperturbabile, era davvero impossibile non credergli. Be’, potevo pur sempre chiedergli qualche altro dettaglio. Magari si sarebbe tradito.
Sennonché lui ha interrotto la catena dei miei pensieri.
– Comunque sono tornato qui per riportarti questa -, ha detto sfilandosi di tasca la mia bandana e schiaffandomela in mano.
Poi ha fatto l’atto di alzarsi bruscamente, ma io sono stato più rapido di lui. L’ho agguantato per l’orlo della t-shirt, mandandolo a sbattere una poderosa sederata sulle stanghe di ferro della panchina. Cavolo, non credevo fosse così leggero.
– Aspetta -, ho detto. – Voglio proprio sapere com’è andata la cena col papa!
Bart ha allungato una mano verso la testa di Nick.
– Posso fargli una carezza senza rischiare qualche dito? -, ha chiesto.
Io ho annuito e, mentre lui sfiorava con l’indice teso i riccioli scuri del mio fratellino, sono tornato all’attacco:
– Ti ho appena fatto una domanda. Allora, che mi dici del papa?
– Un sant’uomo. -, ha risposto lui sorridendo. – Mangia come un uccellino, e dire che i miei avevano imbandito una cena a otto portate!
– Ah sì, e che cosa c’era per dessert? -, ho sparato io preso da un’improvvisa rabbia.
– Una torta di Saint’Honoré innaffiata da un vin santo d’annata. -, ha risposto a raffica lui.
Ovviamente mi ha preso in contropiede. Così ho mollato ogni preambolo e sono andato dritto al sodo.
– Senti, non ti credo una parola -, ho mitragliato fuori dei denti. – Come mai alla tele non hanno detto nulla di questo viaggio del papa a Firenze?
Bart ha allargato le braccia:
– E’ il codice di discrezione del Vaticano. Non tutti gli spostamenti del Santo Padre sono resi pubblici. Non credi che anche lui abbia diritto alla sua privacy?
Certo che lo credevo. Semmai non credevo a lui.
– Ti dirò in confidenza -, ha proseguito abbassando la voce, – che quando viaggia privatamente non usa la papamobile. Per lo più si sposta su un’Ape della Piaggio.
Diavolo d’un ragazzino! Possibile riuscisse sempre a spiazzarmi? Allora ho virato su un altro argomento.
– E tutte quelle cavolate sul tuo importante parentado? Com’è che il mio libro di storia non ne parla? -, gli ho domandato.
Lui è scoppiato a ridere:
– Ah, i libri di storia! Quelli sì che raccontano un mucchio di menate… -, ha esclamato.
E siccome io continuavo a guardarlo accigliato, ha aggiunto:
– Ma scusa, qualcuno di noi uomini del 2000 ha mai visto Napoleone? L’ha mai potuto filmare?
Io ho scosso la testa desolato.
Bart ha tirato con flemma la sua conclusione:
– Be’, allora è chiaro che tutto quello che si racconta di lui è stato ricostruito in base a scritti di gente sconosciuta, morta e sepolta da una cifra di anni. Ma se credi a questi fantasmi, vuoi non credere a me che sono qui davanti a te in carne e ossa?
Per un attimo ho sentito una specie di capogiro. Poi ho ritrovato il filo e ho detto:
– Sì, ma sulla seconda guerra mondiale, ad esempio, ci sono già dei documentari che…
Bart ha mugolato alzando gli occhi al cielo.
– Si dà il caso che il mio bisnonno ballerino, quello che voleva imparare il boogie, non fosse proprio uno che bucava il video. Insomma, era brutto da urlo e perciò non è mai comparso in quei documentari. Tanto è sempre stato così: se non sei telegenico non ti fila nessuno.
Io stavo per replicare qualcosa che Nick, con uno strattone improvviso, si è sganciato dal guinzaglio ed è corso via al galoppo. Inutilmente ho tirato fuori un biscotto dallo zaino gridando:
– Nick, torna qui! A cuccia!
Mio fratello sciolto era come una tigre fuori dalla gabbia: non obbediva più a nessun ordine.
Così mi sono lanciato a capofitto all’inseguimento. Per qualche attimo sono stato preso dal panico, perché Nick sembrava essersi volatilizzato. Sono corso a casaccio per il campetto giochi e in un momento di disperazione ho stoppato una signora che spingeva una bambina sull’altalena:
– Scusi signora, ha visto per caso un bambino col collare che filava via con la lingua penzoloni?
La signora mi ha fissato allibita:
– Non ho capito: cerchi un bambino o un cane?
Se solo l’avessi saputo! Ma non c’era tempo per spiegare. Così ho ripreso a correre, finché non ho avvistato un gatto bianco e nero che schizzava come un razzo su per il tronco di un leccio. Ho fatto un’inchiodata bestiale e mi sono fermato di botto. Eh, eh, proprio come pensavo: Nick era ai piedi dell’albero, intento a saltellarci intorno ringhiando con la bava alla bocca. Allora gli sono piombato di soppiatto alle spalle e l’ho braccato con mossa da domatore.
– Quante volte ti devo dire di lasciare in pace i gatti? -, gli ho gridato trascinandolo via con quanta forza avevo.
Quando sono tornato alla panchina, Bart se n’era andato. Io ho serrato i pugni imbufalito. Se solo l’avessi avuto fra le mani, gli avrei sguinzagliato contro mio fratello senza tanti complimenti.