Roba dell’altro mondo

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Roba dell’altro mondo

di Domenica Luciani
Feltrinelli
2002
Vincitore Premio Bancarellino 2003
Finalista al Premio Annamaria Castellano 2004

Il giorno della mia morte

Pioveva a scroscio. La grandine tamburellava sul balcone del soggiorno e io mi sono detto: ‘Col cavolo che vado ai giardini! Mica sono così scemo da volermi beccare una bronchite col botto!’ Certo, è naturale che uno tenga alla propria salute. Ma tre giorni prima della festa di compleanno del secolo è addirittura un dovere sacrosanto.
Così ho chiamato Giulio e gli ho detto che non ci andavo. Tanto, con questo tempo, passanti da raggirare con lo scherzo del portafoglio non ce n’erano di certo.
– E invece la pioggia non è male! -, ha obiettato Giulio. – Potremmo piombare nelle pozzanghere schizzando i fessi di turno …
Per un istante sono stato fortemente in tentazione. Ho avuto questa visione di un signore con gli occhiali cerchiati d’oro ricoperto di fango dalla testa ai piedi. E poi di lui che si toglie gli occhiali fangosi sbattendo gli occhi miopi, mentre io e Giulio ce la battiamo impuniti. Poi però ho detto:
– No, preferisco restare a casa. Non mi va di prendermi un accidente!
Giulio ha fatto un grugnito:
– Un po’ di pioggia non ha mai ammazzato nessuno…
Un’ora dopo avrei potuto rispondergli: ‘mai dire mai’. Ma alle cinque e un quarto di quel pomeriggio del due novembre ero ancora vivo e vegeto e non sapevo nulla della morte. Per esempio, non avevo idea che mentre si nasce in un modo solo, la gamma dei modi in cui si può morire è davvero infinita. Perciò ho fatto soltanto una risatina, troncando la questione:
– Va be’, Giulio. Ci vediamo alla mia festa. A sabato allora.
– Addio, stronzetto! A mai più -, ha scherzato lui.
Senza saperlo Giulio ha fatto una battuta mondiale. Perché davvero non mi avrebbe più rivisto, perlomeno non da vivo. Oltretutto, con la faccia che ho fatto quando ho esalato l’ultimo respiro, la mamma ha preferito sigillare la bara e non farmi vedere a nessuno.

Credo sia importante ricordare l’ultima ora della propria vita. Anche se uno non ha fatto granché di memorabile o glorioso (leggi: ha cazzeggiato alla grande), c’è qualcosa di solenne in quei sessanta minuti prima della fine. Perciò, detto fra noi, sono contento di non averli sprecati a fare i compiti.
Per la precisione alle cinque e venti ho detto addio al mio migliore amico, che si accingeva a infilarsi gli stivali di gomma e a fiondarsi ai giardini in cerca di pozzanghere dignitose. Mezzo minuto dopo avevo già trascritto su un bloc-notes tre numeri di telefono dall’elenco. Digitato il primo numero, ho chiesto con voce cavernosa:
– Pronto, casa Torti?
– Sì… -, ha risposto una voce anziana all’altro capo del filo.
– Non sarebbe ora di raddrizzarsi? -, ho sparato soffocando le risate.
Poi, dopo aver riattaccato a bomba, ho fatto il secondo numero:
– Pronto, parlo con la signora Puliti?
Risposta decisa di donna:
– No!
– Si lavi, sudiciona! -, ho gridato con quanto fiato avevo in gola.
Attimo di pausa per sghignazzare in santa pace, dopodiché ho fatto il terzo numero.
– Pronto, Andreini?
– Veramente qui parla Andreoni…
– Bene, vedo che avete figliato! -, ho esclamato trionfante sbattendo il ricevitore sull’apparecchio.
Per qualche secondo ho riso da solo, perché gli scherzi telefonici mi mettono sempre di buonumore. Fra parentesi, sono bravissimo a farli. Anzi, ora che sono morto, posso assicurare con certezza che in vita mia nessuna delle mie vittime hai mai avuto modo di mandarmi a quel paese.
Alle cinque e mezzo mi sono venuti gli strizzoni di pancia e sono filato al cesso. Niente di strano: quella mattina a scuola mi ero fatto fuori due scatole di gomme senza zucchero, che dice sono un sacco lassative. Insomma, ho fatto due belle scariche e stavo appunto per tirare lo sciacquone quando mi sono accorto che il rotolo di carta igienica era finito. Allora ho staccato il calendario appeso in bagno e mi sono pulito il sedere con novembre e dicembre, che erano gli unici due fogli rimasti. Poi anche i due ultimi mesi dell’anno sono stati risucchiati nello scarico, insieme all’ultima cacaiola della mia vita. A ripensarci mi viene un po’ di nostalgia.
Potevano essere le sei meno un quarto che, canticchiando giulivo, sono andato in camera mia a rovistare nell’armadio. ‘Vediamo se ho scordato nulla’, ho pensato. Così ho tirato fuori e sparpagliato per la stanza tutta la roba che avevo comprato per la mia festa di compleanno. Perché la festa riuscisse come volevo io, avevo praticamente svaligiato un negozio di scherzi. Il commesso si era addirittura stupito, dicendo che Carnevale era ancora lontano. Io gli avevo risposto che per me era Carnevale ogni giorno, tranne il mio compleanno, che allora era Carnevale doppio.
Ricordo di aver sentito la prima corrente di aria fredda mentre provavo lo scherzo numero 3 sul divanetto di camera mia. Si trattava di un petofono, cioè un aggeggio che simula alla perfezione il suono di una scoreggia. Mentre appunto mi sedevo sul divanetto, che si è messo a spernacchiare allegramente, mi è arrivata una ventata addosso che mi ha fatto gelare le ossa. Siccome la scoreggia era finta, ho pensato logicamente che il vento non potesse venire che da una finestra aperta. In effetti, fuori infuriava ancora il temporale, con tuoni, fulmini e ventaccio di tramontana. Però le finestre di casa erano tutte chiuse.
– Be’, Felix, te lo sei sognato -, mi sono detto ad alta voce. – Oppure covi un’influenza e passerai il compleanno a letto!
Naturalmente l’ho detto per scaramanzia, toccando ferro e facendo le corna nei quattro punti cardinali. Ero più che convinto che avrei passato il mio compleanno nello scantinato del nostro condominio, sgombrato e addobbato con festoni colorati per l’occasione. Avrei stretto la mano a tutti gli invitati nascondendo nel palmo lo scherzo numero 5, una capsuletta che provoca una leggera scossa elettrica alla minima pressione. Avrei sparso la polverina starnutente (scherzo numero 2) sul bordo dei bicchieri di cartone e quella solleticante (scherzo numero 4) sui foglietti della caccia al tesoro. E per il gran finale avrei nascosto due stronzi finti dentro la Sacher Torte e mi sarei goduto la faccia degli sfigati che avrebbero trovato lo scherzetto numero 1 affogato nel cioccolato fondente della loro fetta di torta.
Quando ho sentito suonare il campanello erano sicuramente le sei meno dieci. Difatti ho tirato un’occhiata al mio Swatch pensando che era troppo presto perché fosse la mamma di ritorno dall’Esse Lunga. Il suo turno serale non finiva prima delle sette e mezzo.
Alla porta sono comparse due nonnette con gli ombrelli gocciolanti e delle riviste in mano. Una di loro, che portava uno zuccotto di lana verde sulla capoccia tipo pastiglia per la tosse Valda, ha preso a dire:
– Buonasera, non vorremmo arrecare disturbo. Siamo venute a parlare di Dio e del Suo regno…
– Mi spiace -, l’ho stoppata io. – La mamma stasera non è in casa.
– E papà? -, ha chiesto l’altra tutta sorridente, con una dentiera ballerina in bocca.
Papà non è più in casa da un pezzo, avrei voluto rispondere. Invece mi sono limitato a scuotere la testa.
Pastiglia Valda ha fatto un sospiro e, sventolandomi una rivista sotto il naso, ha soggiunto:
– Magari potremmo parlare con te. Mi sembri abbastanza grande per…
– La ringrazio ma ho già la mia religione -, ho tagliato corto.
Le nonnette hanno fatto lo sguardo altamente interessato. Allora io mi sono schiarito la voce e ho detto:
– Sapete, sono un allegrano convinto.
– Un allegrano?… -, hanno esclamato loro in coro.
– Certo, un seguace di Allegro, profeta vissuto nel quinto secolo avanti Cristo sull’isola di Pasqua, dove si sa che sono tutti contenti come pasque.
Dentiera Ballerina ha fatto lo sguardo preoccupato e ha bisbigliato:
– Ammetto di non sapere chi sia.
Se è per questo neanch’io, ma potevo rimediare subito. Così ho riassunto in due parole la vita di Allegro, che predicava l’allegria e invitava i suoi seguaci a fare scherzi al prossimo.
– E cosa dice Allegro dell’al di là? -, ha chiesto curiosa Pastiglia Valda.
– Be’, innanzitutto che viene dopo l’al di qua -, ho risposto sicuro del fatto mio. – E poi che è un posto ganzissimo, dove nessuno è serio e si ride senza sosta. Non a caso si chiama proprio ‘Universo ridanciano’. Ecco perché tutti i beati hanno delle splendide chiostre di denti, anche quelli che in vita loro erano tutti sdentati.
Dentiera Ballerina mi ha guardato ammirata. Ormai era vicina alla conversione. Tant’è vero che subito dopo ha chiesto:
– E Dio?
– Noi allegrani crediamo che Dio abbia un senso dell’humour megagalattico: spara battute a raffica senza mai ripetersi e ha in mente un’enciclopedia completa di barzellette. Praticamente le sa tutte: meno quelle sporche, s’intende.
Qui le nonnette sono scoppiate a ridere in simultanea: segno che ormai erano diventate allegrane anche loro. Di sicuro però io sono quello che ha riso più di tutti, non appena se ne sono andate, accasciato contro la porta di casa. Gli allegrani, che gag! Be’, se avessi sospettato che le due brave credulone erano le ultime persone che avrei visto da vivo, forse non mi sarei scompisciato a quel modo.
Alle sei e cinque ero in postazione davanti alla tele. Se c’è una cosa che difficilmente mi passa di mente, infatti, è l’ora d’inizio delle comiche di Stanlio e Ollio. Cascasse il mondo, ogni pomeriggio alle sei e cinque spaccate agguanto lo spippolo (leggi: il telecomando) e mi sintonizzo su Rai 3. Adoro quei due svalvolati. Nessun comico, neanche Roberto Benigni o Eddy Murphy, mi fa ridere come quella coppia di scoppiati (scusate il gioco di parole) ormai morti e sepolti da mezzo secolo. E secondo me uno che ti fa ridere anche dopo morto non può essere che un grande con la ‘g’ maiuscola.
Insomma, stava scorrendo la sigla d’inizio (titolo promettente: ‘Monelli’) che ho sentito un certo languore allo stomaco. E siccome a pancia vuota si ride male, mi sono catapultato in cucina e ho acchiappato un Mars, un bicchiere di Coca Cola e una salviettina di carta. Stavo per schizzare di nuovo in soggiorno che ho avvistato un ovetto Kinder già scartato sul tavolo. Ho agguantato anche quello, catapultandomi poi sul divano con la refurtiva a velocità supersonica. Qui ho avvertito la seconda corrente d’aria fredda e un brivido mi ha attraversato la schiena. Stavolta ero sicuro che non si trattava di un’impressione mia e tantomeno di un sintomo influenzale. Difatti la salviettina di carta che avevo appoggiato sul divano era volata per terra.
In un altro momento avrei meditato volentieri sul mistero (inutile dire che le finestre erano sempre chiuse), ma la visione di Stanlio e Ollio vestiti da bambini mi ha trascinato subito in un vortice di risate. Nel film i due comici avevano una parte doppia: quella di due pischelli litigiosi (Ollino e Stanlino) e quella dei rispettivi padri, intenti a tenere a bada i figli che giocavano alle costruzioni. Inutile dire che Stanlino vestito alla marinara e Ollino col golettone bianco e il fiocco al collo erano irresistibili.
– Ah, ah, troppo forte! -, ho gridato esaltato addentando distrattamente l’ovetto di cioccolato.
Frattanto i due monelli stavano discutendo se giocare a moscacieca e Ollino diceva a Stanlino: ‘Ti accechi tu!’. Stanlino allora rispondeva: ‘No, ti accechi tu!’. Qui mi è preso un convulso irrefrenabile di risa e qualcosa di duro mi è scivolato furtivo giù per la gola, andandomi di traverso. Se mi ricordo bene ho fatto una specie di buffissimo nitrito quando l’ultima boccata d’aria è rimasta bloccata a metà strada verso l’uscita. Allora ho sentito la faccia diventarmi dura come pietra, mentre i polmoni sembravano volermi scappare dal petto. Sono caduto per terra di schianto mollando il telecomando, che mi è finito sotto un tallone, e spiaccicando il Mars col sedere. Poi ho preso a dimenarmi come un forsennato, rovesciando con una manata il bicchiere di Coca, che è finita tutta sui pantaloni (neanche mi fossi pisciato addosso) e facendo mio malgrado zapping a forza di pedate. Frattanto annaspavo come un pesce saltato per sbaglio fuori dell’acquario.
Quando non ho avuto più la forza di dibattermi, ho capito perfettamente che ero arrivato al capolinea. Quello che non ho capito, invece, è stato perché sul video Ollino e Stanlino si erano trasformati in due ragazzi sconosciuti che mi fissavano con attenzione. Uno era pure ciccione come Ollio e vestito come lui con fiocco e golettone, mentre l’altro… Ormai però non vedevo più un accidente. Ero immerso in un buio pesto attraversato da razzi gialli.
Alle sei e un quarto il mio cuore ha smesso di battere e io ho riacquistato la vista.

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