Ai lauri
Gabriele D'Annunzio (1863-1938)
Tratta da Poema paradisiaco, Treves, 1893
Leggiamo insieme: Ai lauri di Gabriele D’Annunzio
Lauri, che ne la grande ombra severa
accoglieste il pensoso adolescente,
parlatemi di lui, la prima sera.
Parlatemi di lui benignamente
vecchi lauri, però ch’egli forse ode;
però ch’egli è lontano e pur presente.
Quanto v’amava il giovine custode!
E quante volte a la sua fronte amica
tendeste i rami in ascoltar la lode!
Egli leggea quel libro ove pudica
l’Anima geme, lacrima e desìa
chiusa nel velo d’una Grazia antica.
Lento d’intorno il bel giardin salìa
fiorendo, come un sogno dal cuor sale;
rigato da la pura melodìa,
in una luce insolita spirtale
che non era del cielo ma sul mondo
effusa da la pagina immortale.
O lauri, io son colui. Non più m’ascondo.
Io son colui che lesse il libro e vide
quella luce e gioì nel cor profondo.
Tutto è perduto? Il raggio ultimo irride
nel gran bacino l’acqua putre e scarsa;
il paone su l’alto muro stride;
tra la gramigna livida e riarsa
giacciono spenti i cari iddii del loco…
Ogni divinità dunque è scomparsa?
Sol giunge suono di campane fioco.
A qual dolore l’onda pia si frange!
L’ombra invade una casa a poco a poco,
la triste casa ove mia madre piange.
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