Iris, Greta e compagnia bella
Federico Nenzioni
Tratta da La fattoria di Federico, fiabe per bambini, genitori e nonni, 2018. Disegni di Rosa Pesci
Maggio è un mese incantato, l’aria è tiepida e i prati sono verdi e fioriti. Iris, quattro anni, sta disegnando in giardino. Ogni tanto s’interrompe per guardare con aria assorta quello che sta facendo. Si scosta una ciocca di capelli, prende un pastello e aggiunge nuovo colore al disegno. “Che cosa stai disegnando?”, chiede una voce cavernosa. Iris si guarda intorno, ma non vede nessuno. “Sono qui, sotto il tavolo” ripete la voce. Che meraviglia! Una grossa tartaruga sporge il capino rugoso dalla sua rocciosa casina. “Chi sei?”, chiede la bambina. “Sono una tartaruga, non vedi?”. Non deve meravigliare che i bambini capiscano e parlino il linguaggio degli animali, fino a una certa età però, col tempo, poi, perdono questa sorprendente capacità. “Sì, vedo, come ti chiami?”. “Non so, ho cent’anni forse più, la mia memoria non è più come quella di una volta”.“Posso chiamarti Greta?”. “Sì, se vuoi, anche se non mi ricordo più se sono maschio o femmina”.
“Da dove vieni?”. “Fammici pensare… sì, da un giardino poco lontano, dove si sono riuniti tutti gli animaletti del vicinato per una comunicazione urgente. Mi sono allontanata per fare pipì e mi sono persa. Bisogna che vada, non possono cominciare senza di me; mi aiuti a ritrovare la strada?”.
Si incamminano verso il fondo del giardino e qui si fermano, non sapendo che direzione prendere. Viene in loro aiuto Alda, la talpa, che indica loro la via: “seguitemi!” e si ‘rituffa’ nella terra molle sollevandone la superficie. Poco più in là, Alda rispunta al centro di un prato. Iris si guarda intorno meravigliata. Su un ramo una vecchia civetta ruota due occhiacci gialli, è Dino, il custode delle bestioline del vicinato. Tutto intorno, simili a fiori multicolori, ci sono tanti uccellini e, sull’erbetta, lucertole, ricci porcellini, rane, rospi, topolini, Pinchy, il gattone della signora Marisa, Antonello, il serpentello che ha casa sotto il cespuglio delle ortensie e tanti altri ancora. Accanto a Dino, Iris riconosce il merlo che con la sua compagna visita spesso il suo giardino. Ora è solo, i neri occhi lacrimosi.
Dino inforca gli occhiali e si rivolge ai presenti: “Cari amici, vi ho convocato per dirvi che Lea, la compagna del nostro amico merlo, è misteriosamente scomparsa”. S’interrompe un attimo, si schiarisce la voce, si guarda attorno; tutti pendono dal suo becco. “Dobbiamo aiutare l’amico merlo a ritrovare Lea, prima che un gatto se la mangi, andiamo!”. Dino si avvia, seguito da tutti gli altri, preoccupati per la povera Lea. Quando un amico è in difficoltà, non bisogna, forse, soccorrerlo?
Gli orchi
La compagnia attraversa diversi giardini, quando un uccellino mandato in avanscoperta, ritorna starnazzando: “Gli orchi, gli orchi!”.
In un attimo il prato si svuota, gli uccellini volano lontano, gli altri si nascondono, chi fra i cespugli, chi sotto i sassi. Iris s’arrampica su di un alberello e Greta, la più lenta, si ritira nella sua casina. Tutti, poi, dai loro nascondigli, spiano tra curiosità e paura, l’arrivo di due grassi topacci che trascinano un sacco da cui esce una voce lamentosa: “Allora, quando mi fate la festa? Me l’avete promessa”. “Aspetta, aspetta, vedrai che bella festa ti faremo!”, rispondono gli orchi, ridendo.
“Quando mi presentate a quel famoso regista?”. “Ma quella è la voce di Ida, l’oca di Adalgisa, la moglie di Augusto” esclamano gli animaletti in coro.
“Quando mi togliete dal sacco? Mi si rovina la messa in piega”, si lamenta ancora. “Basta! Che lagna, non ne posso più”, dice l’orco di nome Boh “Accontentiamola, facciamole subito la festa, qui, ora!”. “D’accordo!” Gli risponde il fratello Bah “Non vedo l’ora di assaggiarla; mi spetta il primo boccone, ho portato il sacco fin qui ed è molto pesante”, dice sedendosi su Greta, scambiandola per un sasso. “Neanche per sogno” gli risponde Boh:“Sono stato io a convincere Ida ad infilarsi nel sacco, il primo boccone spetta a me”. “Non è stata una grande impresa, sono bastati pochi complimenti e qualche promessa per farla entrare spontaneamente”. Gli orchi sono rissosi e molto permalosi, basta poco per farli venire alle mani. Ma i problemi cominciano subito dopo, quando iniziano a discutere su come cucinarla. “Facciamola arrosto con contorno di radici amare”. “No, con un ripieno di castagne”. A questo punto Greta, ormai dimentica di aver paura, si addormenta e, sognando, comincia ad emettere sibili, soffi e sonore pernacchie. “Mi stai prendendo in giro, Bah?” esclama, rosso in viso Boh. “ Io? Sei matto!”. “Allora chi è? Ci siamo solo noi, qui, mi prendi per cretino?” e gli da una sonora bastonata; il testone di Bah risuona come una campana rotta; gli orchi, infatti, hanno grosse teste, ma vuote. La risposta di Bah non si fa attendere, con un sasso schiaccia l’alluce destro di Boh che, urlando dal dolore, si mette a saltellare tutt’intorno. A questo punto, Greta, mentre dorme, chissà cosa sta sognando, comincia ad emettere dei forti “ta ta ta” che, amplificati dalla cavità del guscio, riecheggiano come colpi di mitraglia. Gli orchi se la danno a gambe, abbandonando il sacco con il suo contenuto.
Caro lettore, mi son dimenticato di dirti che gli orchi non sono solo malvagi, ma anche vili, come lo sono tutti quelli che se la prendono con i più deboli.
Iris e gli animaletti si stringono attorno ad Ida che, liberata dal sacco, si guarda intorno meravigliata. “Dove sono? Siete stati invitati anche voi alla mia festa? Chi fra di voi è il famoso regista che mi deve fare un provino?”. Informata dalla compagnia che gli orchi ‘per farle la festa’ intendevano dire che volevano mangiarla, l’oca Ida, invece di ringraziarli per averle salvata la vita, si arrabbia per aver mandato all’aria i piani di quei galanti, generosi e simpaticissimi orchi”. Ida si lamenta: “Ah, come è difficile la vita per noi belli, il mondo è pieno di invidiosi che fanno di tutto per metterci in difficoltà; per vivere, dovrò dare le mie belle piume per imbottire cuscini e materassi, oh povera me, che triste futuro mi attende!”. C’è chi si commuove e chi la invita ad unirsi a loro. Dino le chiede se ha notizie della moglie del merlo. Ida, fra un qua qua e l’altro, dopo averci pensato un po’ su, dice: “Forse vi è utile sapere che Augusto e la moglie catturano con le reti tordi ed altri uccellini che chiudono in una gabbia in attesa di mangiarli con la polenta”. “Ohhh!” esclamano inorriditi gli animaletti, “Andiamo subito a vedere” e, in colonna, dietro ad Ida, si dirigono alla volta dell’aia di Augusto.
La soffitta di Augusto
Strada facendo la compagnia incontra Gigino, il maialino, che si rotola nel fango: “Ciao Ida – esclama, appena la vede – pensavo di non incontrarti più. Evita le cattive compagnie d’ora in poi. Dove vai?”. “A liberare gli uccellini tenuti prigionieri da Augusto e Adalgisa”. “Posso venire anch’io?” e li segue senza aspettare una risposta. Augusto e Adalgisa sono nei campi e la compagnia ne approfitta per infilarsi in casa alla ricerca del luogo dove sono tenuti prigionieri gli uccellini; li trovano in soffitta, in una gabbia di legno fra sacchi di farina e mele stese a maturare. Ma ecco che i padroni di casa ritornano. In fretta e furia, c’è di si nasconde sotto un mobile, chi in un armadio, chi in un cassetto. Gigino, il maialino, si nasconde sotto il letto, dove poco dopo si coricano, sfiniti, Augusto e Adalgisa. Intanto, sulle loro teste, alcuni topolini si danno da fare a rosicchiare le sbarre della gabbia dove sono rinchiusi gli uccellini, altri a rodere i sacchi di farina, da cui fuoriesce il contenuto che si sparge sul pavimento. Il calpestio dei topolini e lo svolazzare dei tordi sveglia Augusto che sale a vedere ma, appena varca la soglia della soffitta, inciampa in Greta che, stanchissima per essere salita fin lassù, dorme profondamente. Augusto cade nella farina, da cui emerge bianco come una statua di marmo. Adalgisa, prontamente accorsa, scambia Augusto per un fantasma e lo rincorre, impugnando la scopa. Il pavimento sussulta paurosamente e, al piano di sotto, il fucile di Augusto si stacca dal chiodo a cui è appeso e, cadendo, fa partire un colpo. Alcuni pallini colpiscono Gigino nel sederino che, con un urlo più simile ad un barrito che ad un grugnito, schizza fuori da sotto il letto come un proiettile. Contemporaneamente, la gabbia cede di schianto, sollevando una nuvola di farina e i tordi, finalmente liberi, bianchi come colombe, si precipitano giù per le scale seguiti dai topolini, da una candida civetta e, infine, da Augusto e Adalgisa pallidi come fantasmi. Tutti, con gli abiti a brandelli e pieni di lividi, si ritrovano fuori, al centro dell’aia, dove Dino, sbattendo le ali fa vento al bruciante sederino di Gigino, mentre i tordi si scuotono di dosso la farina; ma, ahimè, sotto non appare il nero piumaggio del merlo; Lea non è lì.
Pinchy
Iris, in giardino, gioca con Tecla, la sua bambola preferita, quando fa capolino da un cespuglio Greta, che la chiama: “Iris, vieni, Dino ti vuole parlare”.
La vecchia civetta, appollaiata su un ramo, la saluta: “Ciao, piccola e graziosa bambina, questa volta abbiamo bisogno di te. Un topolino, che vive in casa di Marisa, la padrona di Pinchy, ha riferito che lì, in gabbie di vetro, sono imprigionati tanti uccellini; fra di loro c’è anche Lea? Ti chiedo di andare a vedere e poi riferire”. “Stai attenta – aggiunge Dino – perché chi è così cattiva da mettere sotto vetro dei poveri uccellini, non può che essere una strega. I topolini, che vivono lì, veglieranno su di te e, in caso di pericolo, daranno l’allarme”. Iris conosce Marisa e non pensa che sia cattiva, quindi l’avvicina senza paura. La compagnia vede Iris dare la manina a Marisa di ritorno dal supermercato, carica di sporte e, insieme, varcare il portone del palazzo dove abita, al primo piano. Passano 10, 20, 40 minuti e Iris non ritorna. Dopo un’ora, la compagnia decide di andare a vedere cos’è successo. Varca il portone e comincia a salire le scale…orrore! Sui gradini ci sono delle gocce scure e appiccicose, è sangue? Gradino dopo gradino quelle misteriose gocce si allungano a formare dei rivoletti; la compagnia con il cuore in gola affretta il passo e, giunta sul pianerottolo, varca la porta, socchiusa, ed entra in cucina. Iris, seduta al tavolo, con il visino tutto sporco, sorride ai suoi piccoli amici; non è sangue quello che le sporca la faccina e imbratta le scale, ma gelato al coccolato sciolto, fuoriuscito da un forellino di un sacchetto della spesa, che la bambina beve golosamente. “Marisa è buona; lui, invece, è cattivo” e indica Pinchy che, mogio mogio, osserva la scena richiuso in una gabbietta per uccellini, che pende dal soffitto. “Pinchy ha spaventato a morte Lea che, per salvarsi, si è rifugiata in quella gabbia, da cui, per paura, non voleva più uscire. Ora, in castigo, Marisa ci ha messo Pinchy”. Poi, Iris indica il piano della credenza dove la povera Lea, con le penne in disordine becca svogliatamente alcuni semini di girasole. “Gli uccellini sotto le campane di vetro sono impagliati e appartenevano al marito di Marisa, gran cacciatore” e poi rivolta a Pinchy: “Brutto cattivo, te li scordi per un pezzo croccantini e bocconcini di pollo!”
Epilogo
Sei mesi dopo i fatti narrati, Iris, in giardino, sta mangiando un gelatone; nel frattempo i suoi gusti si sono ulteriormente raffinati. Non solo cioccolato, magari sciolto, ma anche panna e crema con sopra una grande e dolce amarena sciroppata. Greta la chiama, ma la bimba non la sente; anche per lei è passato il tempo in cui, vivendo in completa sintonia con il creato, era in grado di comunicare con gli animali. Greta è triste, ha perso una cara amica.