L’albero delle farfalle
Ecco la fiaba di Patrizia (20 maggio 2010).
Il segreto di Azzurra era lassù, su un colle a forma di cono, intorno al quale un corso d’acqua descriveva una carezzevole curva. Uno di quei luoghi lontani dal mormorìo della città. Un grumo di case coloniche dall’intonaco scialbo, lo sciabordìo di un fiumiciattolo e il bosco smaltato da allegri ciclamini tracciavano i suoi confini. Anzi. Per l’esattezza, i confini erano là dove arrivava il suono dei rintocchi della possente campana di una biancheggiante chiesa. Il borgo con le strade lastricate in pietra e le viuzze oblique, arroccato com’ era a nido d’aquila, pareva un presepe in miniatura. Lo chiamavano il colle delle fate perchè, si raccontava fosse la dimora eletta da bellissime fanciulle con i piedi a forma di zoccoli caprini. Qualcuno giurava di averle viste nelle placide notti stellate correre lungo le vie del vento sopra un carro rilucente di gemme. Qualcun altro ancora affermava con forza di aver visto la loro sagoma riflessa nelle acque cristalline di un ruscello. Fantasticherie, chimere, illusioni… Chissà. Un fatto era certo: Azzurra, nove anni e una voce angelica, benchè vivesse nell’era di internet, vi credeva fermamente. Il perchè era presto detto: le aveva viste danzare in circolo intorno ad un maestoso noce che, d’inverno, svestito di foglie, sembrava un gigantesco candelabro con le braccia allungate, che nell’oscurità s’ illuminava dei colori dell’arcobaleno. Il sottobosco vellutato di muschio era un autentico palcoscenico della natura. Quando la luna era alta sull’orizzonte, rotonda, color avorio, si alzava il sipario ed eccole volteggiare leggiadre di ramo in ramo, loro, le dame buone del bosco avvolte in candidi veli di trina. Le fate dell’aria assumevano le sembianze di farfalle dalle ali trasparenti e macchie rotonde orlate di rosso e di nero. E, sotto un cielo trapunto di stelle fluttuavano felici e consapevoli di far vibrare di emozione il cuore di Azzurra che custodiva gelosamente questo segreto. Azzurra era una bambina privilegiata, sia perchè viveva ai margini del bosco sia perchè le era stato consentito di oltrepassare la linea divisoria che separa la sfera della vita quotidiana da quella dell’impossibile, dell’inconoscibile, dell’ineffabile. Era tra gli eletti senza esserne cosciente. All’indomani dei fortuiti incontri con le fate alate era colta sempre da un insolito fervore creativo. La vocazione innata per il disegno andava a braccetto con l’amore per gli animali e la natura tutta. Non a caso a scuola eccelleva nelle materie artistiche. Ma ad approfittare delle sue doti erano come sempre quanti nella sua classe brillavano per la loro mediocrità. L’ora di di disegno era diventata, però, un inferno per Azzurra la quale doveva, volente o nolente, disegnare per un pugno di prepotenti, pena botte alla cieca. Il minimo accenno di ribellione era pagato a prezzo di calci e schiaffi. Percosse che lasciavano segni esteriori ed interiori. La piccola Azzurra era prigioniera di una situazione a dir poco incresciosa. Giorno dopo giorno, si spogliava di entusiasmo come gli alberi del bosco incantato delle loro foglie, all’approssimarsi dell’autunno. Pur essendo pervasa da un profondo senso di angoscia, continuava con diligenza a studiare. Verso la metà dell’anno scolastico la scuola rese ufficiale il bando di un concorso artistico. Azzurra, felice, vi prese parte. Il concorso verteva su un tema a lei molto a cuore: la natura. Ispirata dalle sue benevole fate dell’aria pensò bene di disegnare il luogo che amava in assoluto: il bosco. Un giorno, all’imbrunire, mentre era nel chiuso della sua camera dalle pareti rosa pastello, con il viso tra le mani e lo sguardo fisso sul bianco foglio da disegno, Azzurra ebbe tutt’a un tratto un soprassalto. D’impulso, afferrò la sua matita e prese a tratteggiare i contorni di un paesaggio fiabesco con sapienti giochi di luci ed ombre. Sotto un cielo stellato, costellazioni di borghi di campagna, e sullo sfondo come una svettante guglia, l’albero delle farfalle. Il suo favoloso albero incassò il plauso della commissione esaminatrice da una parte; vincendo il primo premio e gli sberleffi dei bulli della sua classe dall’altra che, sghignazzando le dicevano di credere ancora alle favole. Le signore evanescenti del bosco si erano rivelate il suo amuleto.