Passeggiata a Monterosso
Questo racconto è opera di Pietro (22 aprile 2002).
Monterosso al Mare è il paese più cantato delle Cinque Terre, lembo di costa irsuta su un mare profondo, di tonalità scure, battuta da folate di sapori aspri, d’isole vicine e terre lontane, all’estremo levante dei popoli liguri, prima di La Spezia viaggiando verso il Sud.
Monterosso, Vernazza, Corniglia, Manarola, Riomaggiore, terre e borghi tra verdi terrazze a ulivi, limoni e vitigni. Sentieri a mezza costa con incantevoli riverberi d’orizzonti salmastri e tersi, interrotti dalla Corsica bruna. Cammini senza tempo da Monterosso a Riomaggiore, poi altri itinerari sublimi verso Portovenere a mezzogiorno, Levanto, Bonassola, Moneglia a ponente. La strada ferrata collega veloce stazioni tra gallerie antiche, scogliere di ginestre fiorite e agavi odorose; e subito a “Spezia” si arriva.
Monterosso, con le case marinare strette e allungate verso il monte; una stanza in elevazione per ogni figlio che metteva su famiglia, al piano terra la cantina e la bottega. Ci sono le terrazze modellate a fatica nei secoli, dove si coltiva ancora un vitigno resistente a libecci e tramontane, che dà un vino sincero dal nome contorto come i viottoli tra gli orti e le muraglie di pietra, ” Schiacchetrà “.
…E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia (¹)
Le stesse muraglie in Meriggiare pallido e assorto (¹) di Eugenio Montale, Nobel per la letteratura, ispirato proprio da queste contrade, dove soggiornava a lungo nella casa paterna in località Fegina di Monterosso.
Montale, tra i maggiori poeti del novecento, giornalista, saggista e traduttore, senatore a vita, ha scritto di se: “Tentai di essere un uomo e già era troppo”.
Un ottantenne levigato dal sale, chiamato Pinguino, guarda la spuma bianca e respira a boccate la salsedine frizzante, dice che il mare non è più quello d’un tempo, a riva si pescavano frutti in abbondanza, saragi e alici. Ora bisogna andare sette-otto miglia al largo e la pesca e sempre scarsa, sono i fiumi, pieni di porcherie, che rovinano il mare.
Il figlio del portabagagli (il quale portabagagli s’ubriaca ogni sera assieme alla moglie, così racconta la nostra amica Susan Read, pittrice, che ama Monterosso e ci passa tutte le estati) ha cercato di strangolare i genitori con un cappio, non c’è riuscito, ed è finito provvisoriamente in ospedale. Il pittore del paese, che fa quadri anche bellissimi, l’estate scorsa sembrava guarito dalla sua pazzia, ora è in manicomio perché un giorno, quest’ultima primavera, andò nudo alla stazione.
Nei vicoli, i profumi e gli odori s’intrecciano, noi godiamo di questi gusti speziati e dai piani di sopra arrivano le luci e i rumori della sera.
Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni… (²)
Monterosso, luglio 1992.
(¹) Meriggiare pallido e assorto, da Ossi di seppia, Eugenio Montale, 1925.
(²) I limoni, da Ossi di seppia, Eugenio Montale, 1925.