Giulia Orecchia maestra del colore
Giulia Orecchia maestra del colore.
Da i “Cinque topini” a “La gazza rubina” passando per mostre e premi prestigiosi. Un percorso che lascia il segno
di Walter Fochesato
Da Andersen
n. 187 – dicembre 2002
Molti di certo ricorderanno l’allegra frenesia multimediale de La gazza ladra di Luzzati e Gianini approdata poi in un albo edito da Mursia. Era un uccello ladro, sì, ma per sacrosanta rivolta contro le prepotenze dei tre stupidissimi e bellicosi fratelli, era – a ben leggere – una gazza antimperialista, gioiosa e beffarda. Ora, a distanza di tanti anni e senza che il testo e le figure di Lele mostrino i segni dell’età, arriva La gazza rubina (pp. 62, euro 8), testi di Roberto Piumini e illustrazioni di Giulia Orecchia.
I due insieme, avevano già realizzato, con analoghe caratteristiche I dovinelli. Mi sembra però che in questa nuova occasione il risultato sia ancor più limpido e riuscito, tanto che, da un lato, è difficile distinguere le due collaborazioni, stabilire una linea netta fra testo e figure. Le grandi lettere ritagliate che compaiono nelle pagine del volumetto e lo stesso testo tipografico si legano in maniera fortissima con le illustrazioni creando un tutt’uno di occasioni, di spunti, di “letture”. Il meccanismo è quello dello scarto, uno dei più semplici e nobili, giochi di parole. Basta togliere una lettera (o una sillaba) ed ecco una nuova parola: pirati-prati, amici-mici, upupa-pupa, tordo- toro e via elencando. “Guarda questo grande Re,/ che/ CORONA/ ha sulla testa!/ Nel suo regno oggi c’è/ una grande e lieta festa./ C’è chi va e c’è chi torna,/e una gazza molto lesta/ che al gran Re mette le …CORNA”. Girando la pagina ecco il ridente e irridente stupore di un re pacioso e barbuto che si ritrova con un bel paio di corna in testa. Così come una serie di coppie danzanti in piazza saranno in evidente difficoltà a farlo sulla superficie di una… conditissma pizza; mentre una rossa e saporosa bacca diventerà, ancora attaccata al ramo, un’… acca. Ho scelto questo libro non solo e non tanto perché si tratta di una novità. In realtà è per me una delle opere più felici di Giulia Orecchia.Qui nella doppia pagina a disposizione, con il reiterarsi per tutto il libro del meccanismo dell’imprevisto, le tavole assumono una loro forte e netta evidenza, giocano un ruolo decisivo e imprescindibile. La scelta dell’acrilico dà vita a vaste superfici di fondo, variamente e corposamente colorate, sulle quali poi spiccano netti i disegni, frutto di un accorto dosaggio di collage che ricordano un poco l’arte di Eric Carle. Tutto è caldo, allegro, gioioso, animatissimo pur nell’estrema semplicità e parsimonia del segno. A Giulia non serve calafatare gli spazi, le basta disporre con lucida eleganza pochi elementi sulla pagina e, con la stessa magia di cui dispone la gazza Rubina, ecco venir fuori composizioni di raro equilibrio e dal perfetto ritmo narrativo. Basti un esempio: una base in color arancio che tutto infuoca, come in un tramonto d’estate e sopra un ramo contorto spicca nel suo indaco intenso, mentre rade e tenere foglioline timidamente emergono.Tutto qui.
Se poi devo aggiungere altri due aggettivi al tutto, due attributi capaci di riassumere una produzione vastissima, decine e decine di libri, premi (di quelli che contano) e quant’altro, direi: fresca e leggera. Fresca nel senso di briosa e vivace? Anche, ma non solo. Guardando le sue tavole penso anche ad un luogo ombroso e, piacevolmente, refrigerato, mi vengono in mente le uova fresche, il pane fresco, la frutta fresca, qualcosa, insomma, che sia stato preparato o colto da poco tempo. Leggerezza sul versante del lieve, del delicato, dell’agile? Beh, sì. Ma anche come sensazione di tranquilla serenità (“a cuor leggero”), come un’ineffabile sensazione di benessere e sollievo (“sentirsi leggero”). Leggermente, un po’, appena appena, lievemente. Non c’è, qui, il segreto delle piccole cose che Giulia riesce a catturare e raccontarci, non c’è forse quello stare dalla parte dell’infanzia, di saperla illustrare, anche nel senso di spiegarla (e di renderla illustre)?
Nasce da qui la sua versatilità di segno e di occasioni (la progettazione creativa di tanti libri-gioco per La Coccinella), il suo sapersi confrontare con risultati sempre alti e convincenti anche con gli spazi piccoli del tascabile. Lei, maestra di colori, si trova a suo perfetto agio anche con il bianco e nero, con una rara capacità di muoversi nel testo. Ecco allora la misura frenetica, divertita, contrastata nelle luci di Chi ha rubato il didgeridoo? di Brennan e, sempre restando ne Gl’istrici della Salani la delicata problematicità o, ancora, la dolorosa, complessa misura di disegni per due romanzi come Graffi sul tavolo di Kuijer e Petrolio e olio di foca di Degenhardt.