Tostissimo!
Tostissimo!
di Domenica Luciani
Feltrinelli
2001
Secondo Premio Bastia Umbra 2001 Premio Valtenesi 2002
Figura di c.
Ricordo perfettamente quel giorno perché a scuola ho fatto una colossale figura di ci-a-ci-ci-a (per la cronaca: odio il suono delle parolacce e se proprio devo dirle preferisco fare lo spelling all’inglese). Certo, figuracce ne ho fatte tante in vita mia, ma quella ha battuto davvero ogni record. Mi vergogno perfino a raccontarla e forse farei meglio a tenerla per me… Ma nel frattempo sono sicuro che gira già su Internet (potenza dei pettegolezzi scolastici) e quindi posso anche sputare il rospo.
Ora di matematica: il Manetti cincischia alla lavagna e si blocca sul massimo comun divisore. La prof lo rimanda a posto e chiama me a finire l’espressione. Ci vado un po’ tremante, anche se so il fatto mio. La lavagna mi mette sempre soggezione, mi prende strizza quando devo fare qualcosa davanti a tanta gente. Oltrepassando il banco di Samantha, le lancio un’occhiata di sbieco. La intravedo impassibile attorcigliarsi all’indice uno dei suoi boccoli biondi. I suoi occhi sono azzurri e glaciali, però (cavolo!) bellissimi. Li punta su di me mentre sto afferrando il gessetto con falsa nonchalance. E’ inevitabile: il gessetto mi cade per terra e io (che altro devo fare?) mi chino a raccoglierlo. Poi mi rialzo di scatto e sento uno strap. Dopo lo strap sento una risata gigantesca, megagalattica, sganasciante. Finalmente anche Samantha sorride, o meglio, ride a bocca spalancata. Credo che questo sia stato il mio primo pensiero dopo la catastrofe. Il secondo è stato che avevo freddo alle ginocchia e il terzo che i pantaloni della tuta erano per terra e io ero in mutande rosa a rombi rossi davanti a tutta la classe. C’è stato anche un quarto pensiero di terrore puro, quando mi sono ricordato che gli slip avevano pure un buchetto sul di dietro. Non so che avrei fatto se la prof, ridacchiando pure lei, non mi avesse tirato su i pantaloni con gesto fulmineo sistemandoli con uno spillo da balia provvidenziale trovato in borsa.
– Adesso piantatela, ragazzi! -, ha detto battendo la mano sulla cattedra per far smettere il baccano. – Un elastico che si allenta è cosa che può capitare a chiunque…
No, cara prof, non a chiunque. Perlomeno, non a chi porta pantaloni come si deve, comprati in negozi di sport e di marca decente. E in classe nostra io sono l’unico a portare toni comprati alle bancarelle del mercato rionale. Per la cronaca: da noi in Toscana le tute da ginnastica si chiamano toni – e i miei sono appunto da due lire.
Però nessuno la pianta di sghignazzare. Max il Truzzo è piegato in due dalle risate e batte perfino i piedi per terra. La prof è costretta a rimandarmi a posto, chiamando lui alla lavagna. Mi accascio sulla sedia con la mano incollata all’elastico in vita: lo spillo da balia tiene, ma ormai non mi fido più. Stefano mi guarda imbarazzato.
– Ma che ti è successo? -, mi chiede sottovoce.
– L’hai visto, no?
– No, voglio dire… Perché hai le mutande rosa? – Il mio compagno di banco fa sforzi eroici per non ridermi in faccia.
Con la mano libera, apro il diario concentrandomi su una vignetta con Bart Simpson ingrugnato.
– Erano bianche. A rombi celesti. La mamma ha infilato per sbaglio un reggiseno rosso in lavatrice…
Tre ore dopo, all’uscita di scuola, Max mi rincorre scrollandomi per lo zaino.
– Mutande rosa! Il Loffio ha le mutande rosa! Che flash, ragazzi!
Per la cronaca: il Loffio sono io. Difatti faccio Loffi di cognome e ammetto di essere anche un po’ loffio. Il mio nome invece è tutt’altro che loffio: mi chiamo Ozzy, come un famosissimo cantante di rock duro. Alla mamma da giovane quella musica piaceva, a me invece fa schifo. Però il nome Ozzy mi piace: è l’unica cosa tosta che ho. Se mi fossi chiamato Mario sarei stato un candidato al suicidio.
Io faccio le orecchie da mercante. Poi ci si mettono anche il Conti e il Manetti.
– Mutande rosa! Il Loffio ci ha gli slippini da pischella!
Stringo i denti e cammino a testa bassa. La mamma dice che è meglio non rispondere in questi casi, per non dare soddisfazione al nemico. Io ci credo, soprattutto perché non ho il coraggio di aprire bocca. L’ho già detto che sono loffio, no?
Qui il Truzzo rincara la dose:
– Checchina, frocetto!
Ce la farò a non scoppiare a piangere? Ce la faccio, perché in quel momento passa Samantha insieme a Giulia. Come al solito non mi degna di mezza occhiata, ma stavolta è un sollievo.
Il sollievo maggiore, però, lo provo quando mi richiudo la porta di casa dietro le spalle e mi fiondo sul letto senza neanche togliermi la giacca a vento. Che fortuna avere una casa vuota tutta per me! Normalmente mi lamento sempre di non trovare un cane a farmi un piatto di pastasciutta, ma oggi no. Così posso belare in santa pace senza che nessuno venga a rompermi le scatole. Che razza di esse-ti-erre-o-enne-zeta-i! Alludo ai miei compagni di classe, naturalmente… Finora ho sopportato tutto: essere chiamato il Loffio a ogni pie’ sospinto (anche davanti alla preside), beccarmi le pallonate in testa da Max agli allenamenti di pallavolo, trovare le scarpe allacciate negli
spogliatoi e il chewing-gum appiccicato di fresco sulla mia sedia. Ma non sopporterò che mi diano anche dell’effe-erre-o-ci-o per via di un paio di mutande tinte di rosa.
– Tutta colpa della mamma! -, singhiozzo disperato, tirando su col naso.
Quando torna a casa dal lavoro è sempre fusa e non sa mai quello che fa. Allora mette nella torta di mele il bicarbonato al posto del lievito e quando squilla il suo telefonino acchiappa il telecomando della televisione e cade dalle nuvole se nessuno risponde al suo ‘Pronto?’.
A proposito di telefono: sta suonando alla disperata. Non mi va di rispondere con voce piagnucolosa e ho già contato dieci squilli. Il telefonatore folle non molla e così mi arrendo. Mi schiarisco la gola e vado nell’ingresso.
– Pronto, Ozzy! – E’ Stefano.
– Ah, sei tu. – La mia voce suona convincente. Scommetto che nessuno direbbe mai che ho singhiozzato un’ora di seguito.
– Hai una voce strana… –
Scommessa persa.
– E’ il nostro telefono, da un po’ di tempo distorce la voce.
Nello specchio d’ingresso mi vedo due occhi gonfi e rossi come cipolle. Che fortuna che non abbiano ancora inventato il videotelefono.
– Senti Ozzy, stamani con quello che è successo… – Stefano fa una pausa d’imbarazzo. – Insomma, mi sono scordato di chiederti se vuoi venire anche tu!
– Dove?
– A casa di Max. I suoi sono fuori!
Io a casa del Truzzo? A far che? Il bersaglio per il tiro a freccette? Ma Stefano prosegue:
– Tiriamo un paio di petardi in terrazza e ci facciamo una megabbuffata di videoclips di hard rock!
Rispondo senza esitazione:
– No, grazie. Non mi piace quel genere di musica!
– E dai! Proprio tu che ti chiami Ozzy… – insiste lui.
– Dimentichi che per Max e company sono solo il Loffio…
Riattacco con un groppo in gola. Se non avessi tanta fame mi rimetterei a piangere. Non che mi freghi niente di essermi perso la serata rock a casa del Truzzo… Detesto quella musica casinista e ossessiva, con quei parrucconi camuffati da musicisti. E Max, poi, che quando sente un pezzo si mette a scuotere la testa come un epilettico! Quello che mi fa tristezza semmai è di essere sempre tagliato fuori da tutto quello che fanno. Anche se decidono di andare al cinema e poi da Mac Donald’s io sono sempre l’ultimo a saperlo – ammesso che Stefano (che soffre spesso di amnesie come un ottantenne) si ricordi di invitarmi.
Infilo la porzione di lasagne surgelate nel microonde e schiaffo una scodella sulla tavola. Accendo la tele. Persecuzione! C’è un programma sui Led Zeppelin, i padri dell’hard rock. Fanno anche il mio nome, cioè non Ozzy Loffi, ma Ozzy Osbourne, il cantante dei Black Sabbath. Qui finisce tutta la mia cultura sul rock duro. Be’, immagino che anche Stefano sappia almeno che il ventisei dicembre è il suo onomastico, pur non conoscendo a memoria tutti i santi del calendario. Eccolo lì, Ozzy che saltella sul palco a torso nudo e in calzamaglia. Chissà se si è mai allentato l’elastico anche a lui… Spengo la tele seduta stante, buttando giù l’ultimo boccone di lasagne. Mi sono appena ricordato che ho ancora indosso le mutande rosa. Faccio lo spogliarello in bagno e le scaravento nel bidone della spazzatura.
Passo il resto del pomeriggio a provare tutte le mutande che ho, scartando un paio di slip un po’ lisi sul davanti (in zona pericolo!) e un paio di boxer a orsacchiotti colorati. D’ora in poi porterò a scuola solo mutande più che rispettabili. Intanto rinnovo gli slip neri per andare a lezione di contrabbasso. Poi, dopo essermi infilato i jeans Levi’s (gli unici griffati che ho), metto la cintura di vitello che mi hanno regalato per la prima comunione e mi riempio le tasche di spilli da balia. Nella custodia del contrabbasso nascondo anche un paio di vecchie bretelle. Conoscete quel detto: meglio aver paura che buscarne…
Alla fine della lezione la signorina Pini mi offre una Coca. Ma io rifiuto gentilmente. Ho fretta di tornare a casa, perché mi sento la testa più pesante del mio contrabbasso. Strano, con tutte le lacrime che ho perso dovrei sentirmela più leggera, invece!
– Siediti un attimo, Ozzy, devo dirti una cosina… – dice la Pini con quella sua vocetta da cardellino. Per la cronaca: la signorina Pini adora i diminutivi: cosina e compagnia bella. Non a caso quand’era giovane suonava solo strumenti in -ino: violino, clarino e ottavino.
Mi rimetto a sedere sullo sgabello abbracciando il contrabbasso.
– E’ un po’ che te lo volevo dire… Sei bravino, Ozzy, ed è un peccato che il tuo talento rimanga chiuso fra queste quattro mura!
Cavolo, ora ricomincerà con la solita solfa: il contrabbasso è uno ‘strumentino’ che da solo ha poco senso. In gruppo invece…
– Vedi: il contrabbasso è uno strumentino che da solo dà poca soddisfazione…
Peccato! Ci ho azzeccato per un pelo.
– …ma se ti andasse, io ti potrei presentare all’orchestrina del conservatorio dove insegno e credo che loro…
Mi alzo di scatto, stavolta aggrappandomi saldamente alla fibbia della cintura.
– Ma io… ehm… preferisco suonare solo per me… – dico con un fil di voce.
– Come vuoi, allora – risponde secca la signorina Pini.
Mentre infilo il contrabbasso nella custodia, le vecchie bretelle si impigliano alle corde della cassa armonica, provocando uno straziante gemito in ‘la’. Le sbroglio in quattro e quattr’otto, chiudendo la custodia spazientito.
– Il tuo contrabbassino porta i pantaloni? -, mi chiede sulla porta la Pini con un sorrisetto beffardo.
No, porta i pantalini! Penso, fiondandomi giù per le scale.
A casa trovo la mamma stravaccata sul divano. Si è tolta le scarpe e si sta sfregando i piedi a occhi chiusi.
– Ho avuto una giornata terribile, Ozzy!
– Sapessi io… -, mi scappa detto. Me ne pento subito. Piuttosto che raccontarle la scena delle mutande mi faccio segare in due.
La mamma sorride, si stira e mi fa cenno di sedere accanto a lei sul divano. Mi accovaccio accanto.
– Ho dovuto rifare venti camere, per un totale di venti letti disfatti, una doccia allagata e un cesso intasato – dice sbadigliando.
– Che fai quando il cesso è intasato? -, chiedo leggermente intrigato.
– Provo con lo spazzolino, l’idraulico liquido e, se non funziona, coi guanti di gomma lunghi fino ai gomiti…
Ho sempre pensato che il suo fosse un lavoro di emme-e-erre-di-a. Ora ne ho la prova definitiva. Per la cronaca: mia madre fa le pulizie in un grande hotel.
Cavolo, ora tocca a me. La mamma vuol sapere a tutti i costi perché anche la mia giornata è stata terribile. Io non apro bocca, ma lei attacca col solletico sotto le ascelle. Decido di dirle una mezza verità.
– Mi si sono rotti i pantaloni del toni e poi la Pini ha riattaccato con la storia dell’orchestra.
La mamma si alza e si dirige in cucina.
– I pantaloni li ricompriamo, e quanto alla Pini, complimenti! Dopo tre anni che vai a lezione da lei, non ha ancora capito di che pasta sei…
Una pasta loffia, ma non posso farci nulla. Odio l’idea di esibirmi davanti a un pubblico e a casa di Stefano mi vergogno perfino a fare pipì davanti a suoi pesci rossi (acquario in gabinetto). Per lo più la trattengo e in casi disperati, copro l’acquario con un asciugamano.
A cena la mamma è più sveglia. Ha preparato un’enorme frittata di carciofi e stavolta non ha messo lo zucchero al posto del sale. Mi pento di quello che ho pensato oggi pomeriggio. Povera mamma! E dire che si fa un ci-u-elle-o come una casa per mantenermi.
– Mamma, mi compri una tuta Nike o Basics? -, le chiedo tutto allegro.
– Se non costano un patrimonio… Lo sai che non abbiamo tanti soldi: dobbiamo fare economie o resteremo in mutande!
Be’, io ci sono già restato, ma rimango zitto. Mi alzo da tavola, sbattendo il tovagliolo. So come andrà a finire: una tuta del mercatino e un bel sorriso. E se oserò dire qualcosa, lei tirerà fuori la storia di quanti sacrifici ha fatto per me e di come è stata brava ad allevarmi senza un padre. Per la cronaca: la mamma è rimasta ragazza madre a diciassette anni. Va bene che quando è successo il patatrac aveva solo quattro anni più di me… Ma non poteva pensarci prima? Mio padre era davvero così affascinante da farla uscire di testa a quel modo? Non lo scoprirò mai: l’argomento papà a casa mia è tabù. La mamma non ne parla mai e io ho smesso da un pezzo di farle domande. Anche perché ormai mi sento orfano a tutti gli effetti. Certe volte è un vantaggio: alle elementari ero l’unico che non doveva imparare a memoria la poesia per la festa del papà.
Squilla il telefono.
– Ozzy, rispondi tu! -, strilla la mamma dalla cucina. Sta rigovernando.
Certo, sarà per me. Chi vuole la mamma ormai la chiama al suo cellulare. Cavolo, speriamo non sia Stefano col resoconto del pomeriggio. Ci siamo divertiti a folle, perché non sei venuto? Mi pare già di sentirlo. E se invece fosse Max in veste di maniaco telefonico? Mutande rosa, frocetto… e , clic, mi riattacca in faccia.
– Allora, Ozzy! -, la mamma si affaccia sulla porta coi guanti di gomma e la padella in mano. Speriamo non siano gli stessi guanti che usa per sturare i cessi. Ma no, questi non arrivano mica al gomito.
Con passo strascicato e faccia funerea, vado a rispondere alla telefonata che cambierà completamente la mia vita.