Vacanze al cimitero

cimitero
Vacanze al cimitero

di Domenica Luciani
Giunti
1999
Premio Bancarellino 2000

Una festa funebre

L’estate più emozionante – e agghiacciante – della mia vita ha avuto inizio il giorno del funerale dei nonni. Se risalgo indietro nella memoria, vedo quel giorno come una soglia di marmo inondata di sole su una porta grande e buia. Io stavo per oltrepassare quella soglia e non lo sapevo! Scusate, lo so da me che i miei paragoni fanno un po’ pietà. Del resto, non sono un asso della scrittura, ma questo non mi importa granché, perché a un detective non è richiesto di saper fare immagini poetiche. Anzi, un detective deve rimanere sempre coi piedi per terra per non lasciarsi fuorviare dalle apparenze. Però, tornando al mio paragone, devo dire che quella soglia di marmo illuminata dal sole è quanto più mi ricorda il biancore accecante delle croci del piccolo cimitero di Ca’ Desolo, certi pomeriggi di canicola. Quanto alla porta grande e buia, quella rende bene l’idea dello spaventoso terrore di cui fui preda i pomeriggi di quel luglio fatale – per non parlare poi delle sere e delle notti. Ancora mi chiedo come sia potuto sopravvivere per raccontare tutto questo, come non sia già uno scheletruccio disfatto, qualche ossicino sfarinato, dentro una cassa marcia qualche metro sottoterra. Eppure il mio cuore ha resistito! Forse perché, vagando a tastoni in quel buio angosciante (proseguo col paragone, ma oggi mi sento poeta) ho pur sempre avuto al mio fianco una fiammella rossa che a tratti mi ha rischiarato il cammino. Perché, come avrei fatto senza di lei? E’ strano, ma il ricordo di quei giorni grandiosi e terribili diventa ad un tratto dolce e struggente non appena rivedo nella mente quel caschetto di capelli rossi, quella faccia lentigginosa con gli incisivi sporgenti. La mia inseparabile compagna: Tilla -la -grande!

Il funerale dei nonni. Come dimenticarsi quel giorno? Una splendida giornata di sole di metà giugno, la mia prima giornata di vacanze estive. Normalmente, quella mattina, questo sarebbe stato senz’altro il mio primo pensiero. E invece, non appena mi sono svegliato, una visione tremenda ha catalizzato subito la mia attenzione: dalla porta aperta della mia stanza, appoggiata alla parete del corridoio, spiccava una corona funebre di garofani bianchi e rossi, con due nastri viola con stampate queste parole a lettere dorate: A Gerardo Conti e consorte – con affetto, gli amici.
” Non posso essere ancora morto! “, mi sono detto con un tuffo al cuore.
Mezza frazione di secondo dopo ho constatato che, per quanto disteso in un letto, avevo addosso il mio pigiama con sopra l’Uomo Ragno, e non un abito nero di quelli adatti ad essere rinchiusi in una bara. Contemporaneamente ho anche notato che non avevo le mani intrecciate sulla pancia con un rosario fra le dita, ma che avevo la destra attaccata alla faccia, con l’indice intento a frugare dentro una narice, e la sinistra stretta ad un’altra parte del corpo, perché me la stavo facendo addosso. Ne ho dedotto che non ero affatto morto. Un’altra mezza frazione di secondo più tardi, mentre mi fiondavo al cesso a fare pipì, ero ormai sicurissimo di essere ancora vivo, perché sapevo di non avere affatto una consorte. E finalmente, una volta svuotata la vescica, mi sono ricordato che due giorni prima erano morti i miei nonni, i nonni banchieri, Gerardo e Antonia (la sua consorte) e che insomma il nonno si chiamava come me.
Eh sì, il nonno si chiamava esattamente come me, e per quanto ne so questa era l’unica cosa che avevo in comune con lui. Del resto, il nonno banchiere io lo vedevo di rado, perché abitava a Milano ed era sempre indaffaratissimo a controllare i suoi affari e la crescita delle sue azioni. E poi, quelle rare volte che lo vedevo, lui e la nonna, mi davano subito sui nervi. Infatti non facevano che parlare di soldi e di come farli fruttare; e se si rivolgevano a me, le domande fisse erano a che punto era il mio libretto di risparmio e che contavo di farci quando avrei avuto diciott’anni.
– Me li spendo tutti alla sala giochi! – dicevo io.
Lo dicevo per scherzo, ma il nonno si arrabbiava e, sorseggiando il suo tredicesimo bicchiere di vino, diceva che non avevo un’educazione ‘finanziaria’. Dopodiché estraeva di tasca una pallina di gomma morbida (la sua pallina anti-stress) e la spremeva convulsamente nella mano destra. Anche la nonna si innervosiva e cominciava a staccarsi gli orecchini dai lobi degli orecchi (due orrendi globi d’oro grossi come mandarini) e li appoggiava sul tavolo. Poi prendeva a farli ruotare a turno nel palmo della mano. Se non altro non ero l’unico a cui giravano le palle!

Quella mattina, dopo una colazione affrettata, ho aperto l’armadio in cerca di vestiti luttuosi. Così aveva detto la mamma la sera prima, che per il funerale dei nonni mi dovevo mettere roba nera. Mi sono messo i jeans scuri e la maglietta nera con Bart Simpson che dice ‘Ciucciati il calzino’. Appena mi ha visto, la mamma mi ha dato uno scalpellotto in testa e mi ha fatto togliere Bart, dicendo che non era rispettoso vestirsi così per un funerale. E siccome non le andava a genio nemmeno la maglia con Homer (che pure è sicuramente molto più rispettoso di Bart) alla fine mi ha fatto mettere una camicia nera dei tempi degli Scout. Io sono stato zitto, perché pensavo ai nonni e alla loro fine.
La loro Rolls-Royce blu cobalto si era andata a schiantare contro un tir, sulla Bologna-Milano. Stavano rientrando da una delle solite cene d’affari e, conoscendoli, di sicuro avevano anche un po’ alzato il gomito. L’autista, invece, sembra fosse sobrio. Tuttavia anche lui aveva partecipato alla cena, cosa che mi faceva concludere piuttosto il contrario. Elementare deduzione se conoscete quel proverbio che dice: ‘Chi non beve in compagnia è un ladro o una spia’!
Mentre camminavano dietro alle due bare, nel corteo funebre, l’ho anche bisbigliato a papà:
– Psst, papà!
– Che c’è? – mi ha chiesto papà con sguardo truce.
– Secondo me l’autista aveva bevuto un po’ quella sera!
– Non dire cavolate! – mi ha gridato papà a mezzavoce.
Stavamo varcando la soglia della chiesa, e così non ho voluto fare polemiche. E’ difficile fare polemiche sottovoce, ed è impossibile fare polemiche durante un funerale, dove tutti stanno zitti e seri e guardano per terra come quegli Indiani religiosissimi che stanno attenti a non pestare le formiche. Se le pestano pensano di commettere un delitto tremendo o roba del genere. Insomma, ho lasciato perdere. Però, mentre osservavo le maniglie d’ottone delle lucide bare, mi sono chiesto come mai a papà non fosse venuta voglia di saperne di più sulla morte dei suoi genitori. Tipo, cosa avessero mangiato esattamente poche ore prima dell’incidente, o se avessero fatto la cacca sciolta o avessero vomitato le ostriche nel gabinetto del ristorante; o perché no, se avessero davvero bevuto un goccetto di troppo come era loro abitudine. Certo, qualche indagine papà l’aveva fatta, nel senso che aveva telefonato cinque volte al notaio del nonno per avere notizie del suo testamento. Niente che però potesse far luce sulle circostanze della sua morte.
All’ingresso del cimitero papà ha interrotto i miei pensieri:
– Io non sono un maniaco giallista come te! – mi ha sibilato.
– Un pochino almeno potresti indagare, però… – ho insistito io.
– E’ stato un dannato incidente e basta – ha chiuso bruscamente lui, aggiustandosi la cravatta.
Probabilmente papà aveva ragione. Nei miei lunghi tredici anni di vita, nessuna delle indagini che avevo svolto con passione e zelo aveva mai portato a più che qualche banale scoperta: tipo, la scomparsa allarmante del postino, sparito di circolazione per più di un mese, si era spiegata improvvisamente con un’epidemia di rosolia; o ancora la misteriosa sparizione di tre francobolli della serie olimpica dalla collezione del nostro vicino si era risolta con la confessione spontanea della moglie – li aveva usati per spedire i tagliandi di garanzia dei biscotti del ‘Mulino Bianco’ e vincere la tovaglietta da tè in premio. Si sa, la vita è un susseguirsi di banalità. E in fondo pure la morte è una banalità, anche se fa sempre una certa impressione vedere calare due bare nella fossa.
Mentre rimuginavo queste cose, amici e parenti stavano gettando a turno le prime manciate di terra sulle bare. Anche ora, come in chiesa, tenevano tutti lo sguardo fisso a terra. Be’, qui almeno la cosa era più comprensibile, dato che se passeggi in un cimitero col naso per aria, c’è sempre il rischio di cadere come una pera cotta dentro una fossa aperta di fresco. Comunque, quando è toccato a me buttare la terra sulle bare, ho recitato mentalmente un piccola formula di addio ai miei nonni e mi sono anche commosso, perché mi è venuta in rima:
” Addio nonni di ieri, addio nonni banchieri, addio nonni ricconi, addio nonni beoni!”

Quel pomeriggio, a casa, la mamma aveva dato un rinfresco per gli ospiti di Milano, tutti i soci, amici e conoscenti dei nonni banchieri che erano venuti fin qua per partecipare al funerale. C’erano ventiquattro budini crème-caramel, una cinquantina di ciambelle fritte, un millefoglie grande come un tamburo, una crostata di frutta larga come un video da 24 pollici, e un sacco di altre cose sfiziose.
– Che cosa si festeggia? – ho chiesto alla mamma cacciandomi in bocca una ciambella fritta.
– Jerry, piantala con queste battute! Se ti sente tuo padre non vorrei essere te! – ha detto la mamma stappando una bottiglia di spumante.
– Direi che se la maglietta con Bart non è adatta ad un funerale, la torta e lo spumante sono adattissimi a una festa di compleanno!
Così, mentre la mamma si allontanava con un vassoio in mano, mi sono messo a meditare sui rinfreschi da funerale. Sono giunto alla conclusione che per renderli più accettabili ci vorrebbero dei dolci adatti alla triste circostanza. Tipo i confetti rosa e celesti, che sono per i battesimi, quelli bianchi per i matrimoni e quelli rossi per le feste di laurea. Per cominciare, perciò, dei confetti neri sarebbero stati l’ideale! Ma poi ho pensato anche a dei budini di cioccolato a forma di piccola bara, a delle ciambelle dall’aspetto di corone funebri e a un bel millefoglie con una minuscola tomba scavata nel mezzo – completa di statuetta di zucchero con le sembianze del defunto. Questo sì che sarebbe stato uno splendido rinfresco funebre!
Però, per il momento, mi dovevo accontentare di un millefoglie qualsiasi. Così, essendo rimasto a secco di ciambelle, mi sono catapultato in salotto per impadronirmi di una fetta di torta. Davanti al tavolo apparecchiato coi dolci c’era un capannello di uomini vestiti di scuro, tutti con pochi capelli e costosi orologi al polso. Incombevano sui vassoi dorati come tanti corvi su una distesa di pannocchie di grano. Uno di loro, che a forza di cucchiaiate aveva ormai ridotto il suo crème-caramel a poco più di un dado da brodo, diceva scuotendo la testa:
– Povero Gerardo, che tragica fine!
Allora io, che ancora non ero riuscito a farmi strada fra di loro, ho gridato:
– Una fine tragica e anche un po’ sospetta!
Il trucco ha funzionato: i corvacci si sono voltati di scatto verso di me, aprendomi il passaggio al tavolo. Io mi sono gettato su una delle ultime fette di millefoglie, ma il corvo che poco prima aveva parlato ha gracchiato ad alta voce:
– Che vuoi dire ragazzino? –
– Niente. Solo che secondo me, i miei nonni quella sera avevano un po’ bevuto…
– Ma non erano loro a guidare la macchina! – ha aggiunto un altro corvo panciuto.
– Infatti, – ho replicato io leccandomi lo zucchero da sotto il naso. – Sarebbe interessante poter fare qualche domandina all’autista!
A questo punto ho sentito una stretta mortale alla spalla, che mi ha fatto andare di traverso l’ultimo boccone di torta millefoglie, neanche avessi davvero ingoiato una piccola tomba di marmo con tanto di croce, lapide e ghirlanda funebre. La mano che mi stringeva in una morsa assassina era quella di papà.
– Questo giovanotto, cari signori – ha detto papà con voce isterica, – vede misteri insoluti dappertutto. Insomma ci vede un po’ troppo ‘giallo’! Eppure dovrebbe sapere che un detective che si rispetti si guarda bene dal parlare a vanvera…
– Non sto parlando a vanvera! E’ vero che i nonni alzavano spesso il gomito e se io ci vedo troppo giallo, loro allora ci vedevano spesso doppio!
In quel momento papà ha mollato la stretta, ma solo per prendere bene lo slancio e mollarmi invece un ceffone. Ma io, con l’intuito che mi contraddistingue, ho previsto la mossa e sono sgusciato sotto il tavolo. Così papà ha beccato uno dei corvi nello stomaco, che ha lasciato andare il piattino che aveva in mano, facendo planare un budino ancora intatto sulle lustre scarpe di un altro corvo impegnato a riempirsi la pancia. E’ scoppiato un parapiglia, con papà che ripeteva a intervalli regolari: – Dottor Mazzetti, mi scusi… – , la mamma che è corsa a prendere uno straccio per prelevare il budino dalla scarpa del corvo, mentre il corvo a sua volta lo aveva già raccolto col cucchiaino e – colmo dello schifo megagalattico – lo aveva rimesso sul piattino pronto a mangiarselo. E questi erano gli amici dei nonni! Porco cane, che voltastomaco!
Perciò, siccome mi era passato l’appetito e nel frattempo nessuno badava a me, sono schizzato via di soppiatto in camera mia. Ho passato il resto del pomeriggio a cercare di ricostruire la meccanica dell’incidente, sulla base di quelle poche informazioni che avevo a disposizione. Ho anche fatto un disegno dell’incidente mortale, con la Rolls che andava spiaccicarsi contro il tir, l’autista che urlava e i nonni avvinazzati che ridevano tutti contenti. Alla fine ho deciso di archiviare il caso per mancanza di indizi.
Quella sera papà non è venuto a darmi la buonanotte. La mamma invece sì. Seduta sulla sponda del letto, mi ha sussurrato:
– Devi capire papà: i suoi genitori sono appena morti tragicamente e tu vai a raccontare che erano mezzi alcolizzati…
– Non ho detto questo! Ho solo detto che bisognerebbe indagare…
La mamma ha alzato gli occhi al cielo:
– Jerry, quando ti deciderai a crescere? La vita non è un libro giallo, e se ci sono degli enigmi da risolvere, be’ allora non spetta certo a un ragazzino della tua età di occuparsene…
– Ma questo sarebbe proprio un modo giusto per crescere!
La mamma ha sbattuto gli occhi confusa, poi ha soffocato uno sbadiglio:
– Vedremo, però adesso dormi. Questa giornata ha messo a terra tutti: il funerale, il cimitero… Soprattutto il cimitero: non so a te, ma a me i cimiteri mettono sempre addosso una certa agitazione!
E così dicendo si è alzata la manica della camicetta come per mostrarmi la sua pelle d’oca. Io le ho dato un bacio, sollevato di scoprire che almeno lei non ce l’avesse con me. Ma pochi attimi dopo, al buio, ormai solo nella stanza, ho cacciato la testa sotto il cuscino in preda a un’agitazione improvvisa. “Calmo Jerry,” mi sono detto ” è solo l’effetto del cimitero. Tanto non ci rimetterai più piede, amico mio. Perlomeno, non tanto presto!”
Povero me, quanto mi sbagliavo!

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