I due aratri
Leggiamo insieme: I due aratri di Ada Negri
Il colono che gli anni più non conta
ma giusto orgoglio ha della sua tenace
lena all’opre dei campi, oggi ara. È tempo,
fra marzo e aprile, preparar la terra
alla semina bella del granturco,
che a settembre darà pannocchie d’oro.
Da quante Primavere egli ara il campo
per la semina bella del granturco.
Tal fu a vent’anni, tale, oggi, per lui,
la vita; e stan le grandi rughe incise
nel suo volto siccome i bruni solchi
entro la terra non scavati invano.
Va il bove, tardo. Al vomere si schiude
a ventaglio la zolla; d’ambo i lati
dolcissima sussulta, rilucendo
come il buon ferro che le affonda in seno.
Dalle nubi randage qualche goccia
cade, poi cessa: nel grigior che il verde
più intenso rende, ampio è il silenzio: solo
lo rompe, a tratti, il rauco “Arri!” del vecchio.
Ma leva il vecchio le pupille, a un rombo
lontano. Avanza, sul suo capo, un altro
aratro. Il nuovo: quello che ara il cielo:
che ha l’ali aperte in croce, ed un fanciullo
lo guida. Splende, in balenii d’argento:
s’accompagna, dall’alto, al suo terrestre
fratello, e par che all’uno e all’altro uguale
meta sorrida all’orizzonte estremo.
Or quali messi nasceranno mai
da quei solchi lassù? Messi di stelle?
O pur d’un grano eccelso, che d’azzurro
nutrisca l’uomo, e più l’accosti a Dio?
E se i fanciulli sanno ormai l’aratro
condurre in ciel, che vale arare i campi?
Tutto vale. A ciascun la sua fatica
È sacra; e Dio l’accoglie; e non v’è colpo
di zappa o colpo d’ala che non sia
atto di fede. Mentre aerei sbocchi
scopre il giovine, tu, vecchio, il tuo vecchio
campo coltiva, fino al giorno in cui
venga Colei che uguaglia ogni stanchezza:
e pur l’eroe che misurò col volo
distanze d’astri, vien sepolto in terra.
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