La leggenda di Fra Cipresso
Giuseppe Nanni
Leggiamo insieme: La leggenda di Fra Cipresso di Giuseppe Nanni
Per il cielo, pianamente
(era un tuo mattino, aprile),
ascendea benedicente
San Francesco tutto umile
ne la dolce chiarità.
Lunga ed aspra era la via
in fra i rovi e fra le spine.
Quante spine! Egli via via
le mutava in roselline
che spiccavano qua e là.
Pianamente il Santo andava,
ch’era a fin del suo viaggio:
ogni arbusto si inchinava
reverente al suo passaggio,
domandando: “Chi sarà?”.
Proseguiva il Santo, ed ecco
s’impigliò la veste un poco:
c’era un ramo rotto, secco.
Pensò allora: “Frate fuoco
per sua preda oggi l’avrà”.
Era un ramo di cipresso:
lo raccolse il poverello,
si servì, contento, d’esso
qual di forte bastoncello,
fido amico per chi va.
Ma su fuoco del convento
no, non arse il vecchio ramo;
si contorse, quasi il vento
gli fischiasse un suo richiamo
da le azzurre immensità.
E le foglie gialle e trite
non s’accesero, no, d’oro:
si piegarono, stecchite,
scricchiolando, quasi in coro,
domandassero pietà…
Passò allora ne gli azzurri
occhi del santo una visione:
udì canti, udì sussurri,
vide tante cose buone
per un atto di bontà,
e da fuoco trasse il ramo.
Disse: “Vuol vivere, e anch’esso
vegetare, il ramo gramo!
crescerai, frate cipresso,
ne la mia comunità!”.
E, ne l’orto mite e breve,
lo piantò con le sue mani;
ed il ramo secco, lieve,
mise rami, rami, rami…
fu un colosso: e ancora è là.
Là si culla ne l’azzurro;
ogni ramo ci ha il suo nido,
ogni ramo ha il suo sussurro,
ogni nido ci ha il suo grido
di bellezza e di bontà.
Là, nel quieto orto dimesso
dolce e vigile cantore,
vive ancor, frate cipresso;
ed è il frate che non muore
nella pia comunità.
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